Tratto da: Filosofia per la vita e altri momenti difficili

di Jules Evans

La Setta Dei Poeti Estinti.
Poesie, racconti, libri, letteratura, miti, leggende barzellette... Condividiamo le creazioni dei Grandi e... anche nostre!

Tratto da: Filosofia per la vita e altri momenti difficili

Messaggioda Resiliente » 15/04/2015, 17:11



Sto leggendo questo libro mi piaceva l'idea di condividere con voi i punti che ritengo più interessanti.

pag.18
"Attraverso queste interviste, ho scoperto che l'antica filosofia greca ha esercitato un'influenza diretta sulla terapia cognitiva. Ellis, per esempio, mi disse che era rimasto particolarmente colpito da una massima del filosofo stoico Epitteto: - Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose-.
Questa massima gli ispirò il modello ABC delle emozioni, che è al centro della psicoterapia cognitivo-comportamentale: noi sperimentiamo un evento (A), quindo lo interpretiamo (B) e poi avvertiamo una risposta emotiva in linea con la nostra interpretazione (C). Ellis, come gli stoici, sostiene che possiamo cambiare le nostre emozioni cambiando i nostri pensieri o le nostre opinioni riguardo agli eventi."

pag.19
"Secondo la CBT e la filosofia socratica che l'ha ispirata, la causa della mia ansia sociale e della mia depressione non andava ricercata negli istinti repressi della libido, come suggerisce la psicoanalisi. E neppure nei malfunzionamenti neurologici che possono essere corretti solo per via farmacologica, come suggerisce la psichiatria. Andava cercata nelle mie convinzioni. Avevo certe opinioni e certe abitudini di pensiero tossiche che mi stavano avvelenando, del genere: - Ho danneggiato in modo permanente me stesso- , e - Tutti devono esprimermi approvazione e, se non lo fanno, è un disastro-. Queste convinzioni tossiche erano al centro della mia sofferenza emotiva. Le mie emozioni seguivano le mie convinzioni e io mi sentivo estremamente ansioso nelle situazioni sociali e depresso quando quelle situazioni non andavano bene. Le convinzioni erano inconsce e non le controllavo. Potevo imparare tuttavia ad analizzarle, sottoporle alla luce della ragione e vedere se avevano un senso. Potevo chiedermi: -Perché dovrebbero tutti esprimermi approvazione? E' una cosa realistica? Forse posso accettare me stesso e piacermi anche se a qualcun altro non piaccio-. ... Via via, in modo graduale, mi sono sentito meno ansioso nelle situazioni sociali, meno depresso, più fiducioso, più cordiale e capace di controllare la mia vita."

:hi:
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Messaggioda Resiliente » 16/04/2015, 13:40



Ragazzi, davvero, il libro è una bomba...sarebbe da trascrivere tutto..ma non posso...mi auguro che lo compriate e lo leggiate.

pag.49
"Gli errori di controllo sono causa di sofferenza
Molte nostre sofferenze, osserva Epitteto, sorgono perché commettiamo due errori. In primo luogo, cerchiamo di esercitare un controllo sovrano assoluto su qualcosa della Zona 2, qualcosa di esterno che non è in nostro potere. Poi, quando falliamo in questo tentativo, ci sentiamo inermi, incapaci, arrabbiati, in colpa, in ansia o depressi. In secondo luogo, non ci assumiamo la responsabilità della Zona 1, quella dei nostri pensieri e delle nostre convinzioni, su cui abbiamo potere. E attribuiamo la colpa dei nostri pensieri al mondo esterno, ai genitori, agli amici, all'innamorato/a, al nostro capo, all'economia, all'ambiente, al sistema sociale, e quindi di nuovo finiamo per sentirci amareggiati, inermi, vittime, incapaci, alla mercé delle circostanze. Molti disturbi mentali ed emotivi derivano da questi due fatali errori.
Quanti soffrono di ansia sociale, per esempio, sono ossessionati da ciò che pensano gli altri. Diventano nervosi, paranoici, arrabbiati e disperati, proprio perché si fissano sull'opinione altrui, che non è in loro potere.
L'intensa concentrazione sulla Zona 2 è una formula che porta alla paranoia, al senso di impotenza e di alienazione.
Per cominciare a sentirci maggiormente capaci di controllo, dobbiamo imparare di più a concentrarci sulla Zona 1, sulle nostre convinzioni e i nostri atteggiamenti. Non avremo mai la certezza di piacere agli altri, possiamo però imparare ad accettarci anche se gli altri non ci accettano. Allo stesso modo, le persone depresse tenderanno ad attribuire la colpa del proprio malessere ai fattori esterni. Biasimano il passato, i genitori, i colleghi oppure l'economia, la politica mondiale. Si sottraggono costantemente alla responsabilità delle proprie convinzioni e dei propri sentimenti. E con ciò non ottengono altro che sentirsi ancora più indifesi, incapaci, depressi. Una ricerca sulla salute mentale dei soldati britannici in Iraq e in Afghanistan, condotta nel 2010...rivela che la principale causa di sofferenza emotiva fra i militari non è riconducibile ai comabttimenti. E' legata invece alle telefonate delle mogli, che si lamentano dei problemi che hanno a casa: problemi per i quali i soldati in quel momento non possono fare assolutamente nulla. La sensazione di essere incapaci, impotenti ad aiutare la persona amata è più demoralizzante delle bombe nemiche. Eppure, come dice Epitteto, possiamo superare la sensazione di impotenza e disperazione ricordando cosa è in nostro potere e cosa non lo è."...
pag 51
"...tra uno stimolo e la risposta, c'è uno spazio; in questo spazio hanno luogo la nostra libertà e il potere di scegliere la nostra risposta."
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Messaggioda ilungamwepu » 16/04/2015, 21:38



certo che non dev'essere semplice leggersi un libro del genere, cioè io ora come ora non ce la farei, mi verrebbe angoscia solo a tentarci, ma, probabilmente, sarà che è un periodo in cui non riesco a concentrarmi-recepire concetti simili, forse perché ne ho assorbiti troppi in passato e adesso sono nella fase del rifiuto o simile, oppure semplicemente nella fase del "cuor leggero"...ad ogni modo ci provo, visto che nessuno ha commentato e credo comunque che non sia semplice commentare...

pag.18 ok, in parte sono d'accordo, soprattutto sul fatto "Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose", meno sulla questione "che possiamo cambiare le nostre emozioni cambiando i nostri pensieri o le nostre opinioni riguardo agli eventi"...se c'è un evento, un qualsiasi evento, come possiamo cambiare le nostre emozioni cambiando i nostri pensieri? un'emozione è un'emozione e quindi se riuscissimo a cambiarla, modificarla, non sarebbe più un'emozione, ma qualcosa di "ragionevole", qualcosa che può essere "indirizzato" e le emozioni non possono essere inquadrate, delineate, definite, le emozioni nascono all'improvviso, sono un sussulto del cuore o di quello che può dirsi cuore...non so se mi sono spiegato, ci vorrebbe molto più tempo e sento di non averlo adesso...ad ogni modo non credo che i pensieri riescano a guidare le emozioni, casomai viceversa...

pag.19 ok anche qui sulle abitudini di pensiero tossiche e convinzioni che avvelenano, sul danneggiare in modo permanente se stessi, ma (forse sarà il mio caso) non parte dagli altri, dall'opinione degli altri (che pure ha la sua importanza), ma da me (se) stesso, dall'opinione che io ho di me stesso, gli altri c'entrano in minima parte perché tutto parte dal sé e se il sé non si comprende, non si ama, allora quello che c'è fuori, il mondo, la gente, l'altro, è naturale che non l'accetterà (ti accetterà) mai...

pag.49 e qui si conferma la mia tesi (personalissima, forse troppo, magari pure presuntuosa, anzi, lo è senza dubbio) perché non comprendo il dare la colpa agli altri (gli altri intesi nel mondo circostante, vita circostante, tutto ciò che ci scorre accanto più o meno in lontananza) di quello che sono, che sento, non può essere il "mondo" il colpevole del mio stato d'animo, può avervi contribuito in qualche modo (il fato, destino, chi lo sa?), ma alla fine l'unica causa di quello che sono, che sarò, che sto diventando (purtroppo, mi viene da scrivere) sono io...è vero che "...tra uno stimolo e la risposta, c'è uno spazio" il problema è trovare, capire, dove sia quello spazio e credo sia questa la cosa essenziale al di là di tutto perché puoi percepire stimoli, risposte o quello che vuoi, ma se poi non riesci a trovare-vivere "in" quello spazio allora tutto diventa (quasi) inutile perché immagino-credo che quello spazio non siamo altro che noi, noi siamo quello spazio, noi siamo "lo spazio"...il problema è trovare il posto, il momento per entrarci...

ad ogni modo, complimenti per la lettura, mi ci è voluto un po' per cercare di definire-scrivere qualcosa e ho molti dubbi sul fatto d'essermi espresso in una maniera comprensibile perché (almeno nel mio caso) troppe volte mi lascio prendere dai pensieri e divago e "stravago", probabilmente perdendo il filo del discorso...
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Messaggioda Resiliente » 17/04/2015, 8:37



ilungamwepu! premesso che ho dovuto guardare tre volte il tuo nik per riscriverlo e ti dico che a confronto questo libro è una passeggiata :lol: ,
ti ringrazio tanto del commento. Primo perché è un regalo inatteso in quanto non mi aspettavo che commentasse nessuno, secondo perché mi dai modo di riflettere e argomentare. Non so se riuscirò a spiegarmi perché non ho mai studiato filosofia, ma ci provo.
Devi sapere che questo libro si colloca in un mio preciso momento storico dove sto facendo più cose per "saltarci fuori" (detto alla bolognese. vuol dire per cercare una soluzione) ...terapia, corso di autostima, di recitazione, di scrittura creativa...per cui è un supporto in più e non un peso per me.
provo a spiegare un po' il primo punto che hai evidenziato.
le emozioni, hai ragione sono in sé e per sé non modificabili: la rabbia è la rabbia, la tristezza è la tristezza, ecc.. quello che varia è l'intensità probabilmente..
quello che il libro dice e che ogni nostra "lettura" della realtà che ci circonda richiama una di queste emozioni.
Le differenti "letture" portano a reazioni diverse.
Provo a portare degli esempi.
Hai mai visto un bambino che cade con mamma al seguito?
Ci sono mamme che dicono con compassione "tesoro, su non è niente, bacino e passa tutto!", altre agitate "oddio, mamma mia, poverino, ti sei fatto male? andiamo in ospedale che magari ti sei rotto qualcosa!", altre ancora con rabbia "ecco lo sapevo, te l'ho detto di non correre! Non piangere ora perché te lo do sopra!"
Cosa cambia? Non il fatto: il bambino è caduto.
Cambia la "lettura"(il sistema di convinzioni e di pensieri della mamma associati a quel fatto) che è quella cosa che sta tra il fatto e l'emozione. La mamma compassionevole avrà pensato "è normale, deve imparare", la mamma ansiosa "oddio, ho paura di perderlo", la mamma rabbiosa "che brutta figura, non ho il controllo su di lui".
Chiedo venia per le tre interpretazioni(letture), non sono una psicologa e potrei aver detto costronerie, ma era per spiegare. L'associazione pensiero-emozione per noi è diventato un automatismo, inoltre parte dal subconscio(se non ricordo male) è normale quindi non percepire razionalmente il pensiero che sta dietro l'emozione. Altro esempio personale col quale metto alla prova questo meccanismo e posso confermare che funziona. Fatto: tu rispondi a questo post. 1°Pensiero che fa partire l' emozione:oddio e mo che scrivo? non sarò mai in grado di rispondere come farebbe uno colto a queste domande(bassa autostima). 1° mia emozione : ansia paralizzante.
Ora che so il meccanismo ed ora che grazie al corso di autostima ed al resto del lavoro che sto facendo su di me mi sento un po' più "up" tento un 2° pensiero: davvero tu non puoi spiegare il "tuo" pensiero? puoi vedere questo fatto non come un ostacolo, ma come una opportunità per metterti alla prova e vedere se tu stessa hai capito quello che il libro spiega. = risultato del 2° pensiero l'ansia è calata ed io ho potuto risponderti. :coolok:
sono stata spiegata? :lol:
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Messaggioda lavitaèbella » 17/04/2015, 9:24



Premetto che anch'io leggo libri del genere e non mi spaventa il linguaggio.

Contengono sicuramente molte concezione vere, è vero che molta gente da sempre la colpa agli altri (istituzioni, persone fisiche ecc) e si crogiolano compiacenti in questo.
Ad esempio se persona esterna gli fa notare che, analizzando la sua situazione , non è poi così grave e che può realisticamente fare questo questo e quest'altro per uscirne, essi si ritirano stizziti, come se non volessero essere svegliati dal loro felice tormento, dalla loro specie di malato amore per la commiserazione che dovrebbe attirare l'attenzione degli altri (come fanno i bambini che piangono per attirare l'attenzione dei grandi o per ottenere qualcosa), non voglio essere tratti fuori da quello che per loro è un "sicuro rifugio" .
In questi casi credo possano servine letture del genere.

Dall'altro lato però, forse, queste stesse letture, calcando troppo sul concetto che se cambiamo i nostri pensieri diventeremo magicamente felici.
Ti dicono, si il mondo fa schifo ma tu non puoi averne controllo, ma puoi avere controllo sui tuoi pensieri.

Quindi tu cambi i tuoi pensieri e dici, si il mondo fa schifo ma non me ne importa perchè io ho i miei pensieri felici, e stò bene...per ora.
Ma dopo un po' ricomincia il giro, il lavoro non arriva, quindi ti senti inutile , quindi ti svegli la mattina senza uno scopo preciso, quindi non arrivano i soldi, quindi non hai l'indipendenza (comprarti ciò che ti piace, avere una casa tutta tua anche in affitto, farti una vacanza dove vuoi, avere un'auto per portare in giro la tua ragazza o pagarle la pizza ecc), poi arriva pure la solitudine perchè uno senza soldi non può andare alle gite fuori città con gli amici (se riesce a farseli) o a visitare un luogo a pagamento (cinema,musei ecc), o pagargli la benzina se si fa dare sempre passaggi (umilianti alla lunga) perchè non ha l'auto sua.

Da tutto questo può arrivare a dare la colpa a se stesso, arriva a pensare che è lui che non va, che non trova lavoro perchè è lui sbagliato, che non trova amici perchè è lui sbagliato.

Insomma è vero che :
1) a volte è colpa nostra (piangiamo troppo su noi stessi), abbiamo paura di presunti pericoli (esempio aver paura di parlare con un estraneo), ad esempio nella timidezza, in gran parte non c'è nulla di cui aver paura poi alla conta dei fatti. Parlo da ragazzo che era un timidissimo, ma ho preso coscienza di questo problema e con sforzi quotidiani ne sono uscito e ne stò uscendo sempre più.

2) volte è colpa degli altri (non siamo capiti ed isolati perchè rifiutiamo un'idea o un modo di fare e di vivere) e qui stà a noi analizzare le critiche e discernere tra il si hanno ragione devo cambiare questa opinione (di me , degli altri, delle cose) e il no io la penso così accetto l'opinione degli altri e spero che altri siano altrettanto maturi da accettare la mia senza isolarmi o attaccarmi

3) a volte è colpa del sistema, che in Italia c'è un'enorme disoccupazione che sta provocando enormi disagi sociali (alcolismo,rabbia,isteria,depressione, xenofobia, omicidi, suicidi ecc...), di cui ancora non abbiamo percepito le vere conseguenze sull'anima delle persone, non è colpa nostra e dei nostri pensieri "deviati", il disagio è reale, le tasche vuote sono reali, la mancanza di prospettive (una famiglia, una casa, una vita di viaggi, di coltivare le nostre passioni ecc) è reale, e che lo vogliamo o no, volente o dolente la realtà è quella, per muoversi ci vogliono i soldi, senza soldi non si può fare niente, solo gli asceti vivono senza soldi.

In conclusione io credo che queste letture siano utilissime e mi congratulo con te, però vorrei mettere in guardia se non si ha una mente abituata alla critica (testale, intellettuale ecc), se non si ha senso critico, nel senso di non dare per oro colato tutto o fermarsi a quella frase vedendola da solo un paio di punti di vista, può provocare l'effetto opposto, quello di pensare ciò che in fondo sia tutta colpa di quello che c'è dentro la nostra testa.
Non prendete come accusa le mie parole per favore, spero di essermi espresso senza boria superbia e saccenza e con chiarezza
Auguri ragazzi :hug: ciaoo
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Messaggioda ncode » 18/04/2015, 0:31



Concordo con quanto scrivi, non avevo mai pensato di esprimere in questo modo un concetto che già conosco e pratico inconsapevolmente. Le opinioni degli altri non mi interessano, so esattamente cosa posso controllare, ho un idea chiara di me e dei miei limiti anche se tendo sempre a superarli. Si tratta di concetti che puoi apprendere vivendo tra la gente e facendo esperienza ma leggerli in un libro come questo produce vantaggi immediati a beneficio del lettore.
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Messaggioda ilungamwepu » 18/04/2015, 21:50



sì Nu, ti sei spiegata bene...però permangono in me alcuni dubbi su come "guidare" le emozioni o meglio sul tipo di emozione che le persone possono avere in merito alla stesso evento, cioè, è verissimo che ognuno ha il suo modo di reagire, ma qual è il modo per riuscire a modificare quella reazione-emozione che sicuramente dipende dal vissuto di ciascuna persona? credo che se ne potrebbe parlare all'infinito con varie ipotesi-tesi tutte giuste-sbagliate-quasi perfette o forse no-forse fantascienza pura...milioni di modi per milioni di non venire a capo di niente...nemmeno io sono uno psicologo che però non è detto che uno non azzecchi in qualcosa lo stesso...

per il nick a volte nemmeno io riesco a scriverlo bene!
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Messaggioda Resiliente » 20/04/2015, 9:44



pag. 52
"Sono le circostanze difficili a mostrare quanto valgono gli uomini" dice Epitteto.


Non biasimarti per ciò che non è in tuo potere

La tecnica di Epitteto tesa a definire i limiti del nostro controllo è particolarmente utile quando siamo bambini e adolescenti, dal momento che a quell'età dipendiamo molto dalle circostanze e dagli altri: in particolare dai genitori. Voglio prendere due esempi di bambini con un'infanzia traumatica, per mostrare come si può usare la lezione di Epitteto per superare le avversità. Il primo esempio mi è stato riferito da William Knaus, un anziano, meraviglioso signore, gentile e saggio, che è stato il pioniere della terapia cognitiva nelle scuole. Ha iniziato ad insegnarla nel 1971 secondo un approccio chiamato "educazione razionale emotiva". All'inizio degli anni '70 Bill cominciò a curare una bambinadi cinque anni, che chiamerò Anna e che era stata adottata. "Era una bambina iperattiva" dice "Non stava mai ferma e il suo quoziente d'intelligenza, secondo le misurazioni, si situava nella gamma subnormale."Knaus iniziò a ricostruire la sua storia. "Aveva genitori profondamente disturbati e distruttivi. La madre poco più che ventenne, faceva uso di droghe e aveva bisogno di molto denaro per soddisfare questo vizio. Capitava anche che litigasse con gli spacciatori. Una volta Anna fu testimone di un brutto episodio in un negozio, quando uno spacciatore aggredì sua madre. Lei se la filò, ma una persona fu pugnalata e rimase uccisa."
Il padre, sulla cinquantina, era alcolizzato e abusava di lei. Quando la bambina aveva tre anni, la portò in uno studio fotografico e con altri uomini la violentò, filmando tutto con una videocamera. Il ricordo di quell'episodio rimase molto nitido in lei, era come se lo rivivesse di continuo al rallentatore. "Tutto questo spiega perché era così agitata?"domanda Knaus. "Certamente, sì. I genitori l'avevano fatta passare per esperienze orrende." La terapia cognitiva può dare risultati eccezionali in poco tempo, ma nel caso estremo di Anna occorse un periodo piuttosto lungo.Nei due anni successivi Bill cercò di insegnare ad Anna una struttura mentale che ne incoraggiasse la resilienza. Le fece capire da dove originavano i suoi sentimenti e perché la gente reagiva in un certo modo al suo eccentrico comportamento. L'aiutò ad avere autostima, a sentirsi capace di controllare i propri sentimenti, il proprio ambiente. "Tuttavia aveva sempre in mente quell'orribile immagine della violenza. Continuava a vedersi come un brutta persona a causa di tutto quello che aveva passato." Dopo due anni di terapia, un giorno Anna, che aveva ormai sette anni e mezzo, andò a trovarlo. Era pronta a parlare della sua esperienza e del suo atteggiamento verso di essa. "L'idea è di insegnare ai bambini concetti che possono applicare nelle situazioni della vita reale" dice Bill "Consideriamo il controllo come un concetto. Le dissi: "Quando guardi l'oceano e vedi le onde che s'infrangono contro la costa, puoi fermarle?" "No, nessuno può fermare le onde." "E, se mentre stai facendo un picnic si mette a piovere, puoi fermare la pioggia?" No, perché mi fai queste domande sciocche?" "Bene, puoi scegliere cosa indossare quando vai a scuola?" "Sì, a volte." "Puoi scegliere quale programma guardare alla tv?" "Sì, a volte" "Puoi scegliere cosa disegnare o scrivere?" "Di solito sì." "E puoi scegliere cosa pensare?" "Di solito sì". Così avevamo preso atto che vi sono cose che dipendono da noi e altre che non dipendono da noi. Quindi le chiesi: " Le cose che ti sono capitate con tuo padre e le altre persone sono più simili alle onde del mare o a qualcosa che tu scegli di pensare?" Passarano cinque minuti di silenzio. Infine mi rispose: "alle onde".
Bill pensa che comprendere la differenza fra qunto lei poteva controllare e quanto non poteva controllare abbia aiutato Anna a superare il trauma e a intraprendere la strada della guarigione. Non si è più sentita come una cattiva ragazzina, perché ha capito che allora era una bambina di tre anni e non era nelle condizioni di controllare un adulto. Le cattive cose che ilpadre le aveva fatto non dipendevano da lei. Ma quello che lei pensa di quel fatto, questo sì, dipende da lei. Anna non si è abbandonata alle droghe né all'alcolismo. Ha iniziato ad andare molto bene a scuola, e quando il suo quozinete di intelligenza è stato rimisurato di nuovo, è risulrtato nella gamma alta, 128. "La terapia non ha fatto alzare il suo QI" dice Knaus. "Però ha fatto piazza pulita dei molti ostacoli che impedivano alle sue capacità di emergere. Anna è diventata una studentessa modello, ha preso il diploma di scuola superiore e poi è andata all'università. Di recente si è sposata." Conclude Knaus "L'esempio si Anna mostra che , anche dopo essere cresciuti con genitori estremamente disturbati che ti fanno subire esperienze orribili, puoi pur sempre imparare a sviluppare capacità di affrontare razionalmente una situazione, ed è quello che Epitteto ha insegnato per primo." Anna si attribuiva la colpa delle azioni di suo padre, e superare quel senso di colpa voleva dire accettare che in quella situazione lei era impotente. Non aveva alcun controllo dell'accaduto. Non era colpa sua. Ma adesso, anni dopo, aveva il controllo di come pensare a quei fatti e poteva scegliere di lasciarseli alle spalle. "Ciò che ci capita potrebbe non essere colpa nostra" dice Knaus "ma quello che pensiamo è sotto la nostra responsabilità".
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Messaggioda ilungamwepu » 20/04/2015, 20:29



capisco...o almeno credo...quindi tutto sta nel superare o imparare a superare il proprio senso di colpa (e immagino che tutti ne abbiamo) o almeno nel superare-accettare quello (quegli) eventi (traumi) che hanno creato sensi di colpa?

apparentemente sembra (quasi) semplice...ma se il senso di colpa proviene da noi stessi, cioè ne siamo noi la causa, l’artefice principale e nessuno al di fuori?

forse basterebbe riuscire a perdonarsi o accettarsi per quello che siamo, soprattutto per i nostri (grandi) difetti-errori-sconfitte?

e qui credo sia più difficile perchè a questo punto abbiamo bisogno che siano gli altri a perdonare noi stessi, cioè a farci capire che dobbiamo avere la pazienza di saperci amare di più e di non condannarci sempre...

purtroppo io mi condanno sempre...
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Messaggioda Resiliente » 21/04/2015, 12:38



pag.55

Non usare gli altri come scusa

Un altro esempio di una persona capace di resilienza nonostante la terribile epserienza con i genitori è Brett ... Ha trentasei anni, la barba, la testa rasata e una grande smorfia permanente. Quando era piccolo, sua madre faceva abuso di metanfetamine. A causa di questa dipendenza perse il negozio di parrucchiera che possedeva, quindi la casa, l'automobile e praticamente tutto il resto. La famiglia si trasferì a Phoenix, dove la madre e il patrigno avevano stretti rapporti con il mondo della droga. Mi dice Brett:
"Nei quattro anni successivi ho vissuto nelle condizioni più miserabili che si possano immaginare. Gli anni dell'adolescenza sono stati un inferno: dormivo in posti strani, venivo svegliato nel cuore della notte dai traffici di droga che avvenivano nel soggiorno dove dormivo, andavo in giro con una pistola per paura che gli affari di droga volgessero al peggio. I membri di una banda mi hanno sparato, ho trovato i miei genitori a letto con degli sconosciuti, lanostra casa è stata attaccata con bombe incendiarie, e chi più ne ha più ne metta. Passavo le notti nel deserto ad aspettare che i miei finissero le loro maratone di anfetamina. per tornare nella nostra roulotte in città. I miei genitori si disinteressavano di me, in quel periodo. Io non esistevo, a parte il fatto che ero l'unico a lavorare. Facevo turni di dieci ore in una drogheria per pagare l'affitto, quando loro non potevano, e facevo anche guardia del corpo quando avevano bisogno di me. Ero un giovane molto arrabbiato. Avevo poco giudizio, facevo a botte, avevo problemi con la polizia. Sono stato in carcere due volte, una per percosse e aggressione e l'altra per essere entrato in un parco pubblico con un fucile da caccia carico. Ma ero abbastanza sveglio per capire dove mi stava trascinando tutto questo. Ero sicuro che a ventuno anni sarei stato morto o in galera."
Una mattina, a diciotto anni, si svegliò e pensò: "La verità è che non posso più tirare avanti in questo modo". Raccolse le sue cose, uscì e non è mai più tornato indietro. Fu accolto da una famiglia di cristiani evangelici, i quali gli fecero sentire per la prima volta com'è avere una famiglia stabile e affettuosa. Si è convertito alle loro fede ed è persino entrato in seminario con l'intenzione di fare il pastore. Ma poi ha cominciato a nutrire dubbi sulla fede cristiana. Poco più che ventenne, mentre si trovava in Europa - dopo aver peregrinato a lungo e aver passato un periodo come missionario nei Balcani - , s'imbatté nei Pensieri di Marco Aurelio. "Non conoscevo i profondi principi filosofici dello stoicismo" dice. "Ma mi piacque un frase: 'Non portare rancore contro i fatti, giacché ai fatti non importa nulla del tuo rancore'. Mi parve chiaro che le cose esterne non hanno alcun poter su di me, se non lascio che lo abbiano, e che l'unica cosa su cui ho il controllo sono io stesso."
Alla fine si è laureato..ed ha invitato la madre alla cerimonia di consegna delle lauree. A quell'epoca suo padre era morto di overdose di eroina:
"Ci sedemmo sulla veranda di casa mia e, con le lacrime agli occhi, le chiesi perché avessero fatto tutte le cose che hanno fatto. Mi rispose che la mia era una reazione spropositata e non capiva perché me la prendessi tanto. Dal suo sguardo e dalla contrazione della bocca, compresi che erano giorni che si faceva. Quel giorno il mio rapporto con mia madre finì. Ci sentiamo ancora altelefono, ma niente di importante. Anche se ormai è uscita dal tunnel della droga, il danno è fatto."
Oggi Brett è felicemente sposato e ha un lavoro di responsabilità in una azienda di catering. Avrebbe potuto usare la sua terribile infanzia come un alibi e lasciare che la sua vita andasse a rotoli. Avrebbe potuto cedere al vittimismo, lamentarsi di tutte le sventure che lavita gli ha riservato e del pesante bagaglio che gli hanno lasciato i genitori. Invece ha imparato che molte cose della nostra vita non sono in nostro potere, come il nostro passato e il comportamento degli altri. Non ha senso essere infelici per i problemi degli altri. Allo stesso tempo non possiamo usare il comportamento altrui come alibi per ignorare ciò di cui siamo responsabili: i nostri pensieri, il nostro comportamento, le nostre scelte di vita. Brett ha compreso che aveva il potere di compier scelte differenti dai suoi genitori, e l'ha usato. Dice di fare ricorso alla lezione di Epitteto nella vita di tutti i giorni. "Mi capita di essere molto stressato, perché son un gran lavoratore e punto in alto" dice. "Ma ho imparato a ricordarmi cosa dipende da me e cosa no. Quando qualcosa non va per il verso giusto, cerco di evitare di reagire in modo eccessivo e di ricordarmi che ci sono limiti a quello che posso controllare. Non sono un 'saggio'. Ho ancora forti reazioni emotive alle cose. E penso che questo non lo cambierò mai. Ma lo stoicismo ha immensamente migliorato la mia capacità di far fronte alle situazioni esterne". Brett e Anna sono, in modo differente, esempi di come possiamo superare un inizio di vita estremamente infausto, ricordando a noi stessi cos'è in nostro potere e cosa no. Non si tratta di dire: "E' tutta colpa mia". come faceva Anna, o viceversa: "E' tutta colpa degli altri", come avrebbe facilmente potuto fare Brett. Entrambe queste risposte sono troppo semplicistiche. Dobbiamo imparare a discernere. Osservando che abbiamo sempre un certo potere sui nostri pensieri e invece un potere limitato su tutto il resto, Epitteto ci ha offerto un formidabile metodo per delimitare e preservare il nostro spazio di controllo anche nelle circostanze più difficli.
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