Credo che il modo più facile sia dire l’intera storia fin da subito, senza girarci attorno.
Da sempre sono sola, mi sono sentita sola anche quando conoscevo qualche persona che ritenevo amica, finché ero in compagnia tutto andava bene, ma non appena tornavo a casa, la desolazione.
Credo che tutto cominci da quando andavo all’asilo, prima abitavo vicino all’asilo che frequentavo, poi i miei si sono trasferiti in un paesino, come se non bastasse, la casa proprio all’inizio del paese e circondata solo da persone anziane e adulti. Qui non mi sono mai fatta amicizie. Mia madre, credendo che fosse meglio per me, mi ha mandata alla scuola elementare vicino al mio asilo, di modo che le amicizie che avevo proseguissero, ma a parte un’amica non avevo particolari rapporti. Alle elementari iniziano le prese in giro per il mio aspetto fisico e inizia la mia eterna umiliazione. Nonostante tutto le elementari mi piacciono, perché sono comunque un’evasione dai problemi in casa, mi piace fare i miei compiti e vado bene a scuola. Il giorno del mio settimo compleanno mia madre inizia un nuovo lavoro a turni, ovviamente inizia con il turno dalle due di pomeriggio alle dieci di sera, non ha la macchina ma solo un motorino scassato e d’inverno in montagna non è piacevole muoversi col motorino. Inizio ad essere ancora più sola, i pomeriggi sono abbandonata a me stessa, pranzo con mia nonna, ma poi lei deve tornare al suo negozio, divento sempre più solitaria e alle medie inizio anche a pranzare da sola perché non la sopporto più.
Mio padre era alcolizzato, smette di bere quando io sono alle elementari, non ricordo quanti anni avessi, ma mi vergognavo tremendamente del fatto che lui bevesse, lo odiavo, ogni sera che tardava a tornare speravo fosse perché aveva fatto un incidente e fosse morto. Avevo anche pensato di ucciderlo io, ma sapevo che avrei avuto la peggio contro la sua forza. Un giorno a cena ha tirato un bicchiere in faccia a mia madre, l’ha mancata di poco, colpendo l’armadio dove ancora c’è il segno ed il bicchiere è rimbalzato e ha rotto la finestra. Per cena c’era il risotto ai funghi. Non lo posso più sopportare ora, mi fa schifo anche solo vederlo nella pentola. Lo stato del suo fegato peggiorò e il medico gli diede due anni di vita. Io ero contenta, è stata la migliore notizia mai avuta per me. E invece, avendo visto un suo amico smettere di bere e rifiorire, decide di andare in clinica per un mese e smettere. Il mese in cui io e mia madre eravamo a casa sole non lo ricordo, ma so per certo che è stato un mese di pura tranquillità. Torna a casa, con una settimana di anticipo perché era riuscito a litigare pure con il medico. Non ricordo molto di questo periodo, l’unica cosa che ricordo è che poco dopo lui torna a casa con un regalo e me lo posa sul letto, ma io non ho il coraggio di aprirlo, penso che non sia per me. Lo lascio lì fino a che mia madre non torna a casa dal lavoro e mi dice che è per me e che lo posso aprire. A posteriori so per certo che è stata lei a dirgli di comprarmi un regalo, che lui di sua iniziativa non l’avrebbe mai fatto. Mi vergogno talmente tanto di lui che al ritorno dalle vacanze estive ho mentito alla maestra che aveva assegnato un compito sulla meta delle nostre vacanze, dicendo che non l’avevo fatto perché non eravamo andati in vacanza perché mio padre era stato operato di calcoli al fegato, non che io in vacanza non ci potevo andare perché tutti i soldi mio padre se li bevevo.
Arrivano finalmente le medie e penso: tutto migliorerà, non mi prenderanno più in giro. Ovviamente avevo anche paura, perché sarei andata in una scuola stavolta vicina al mio paese, dove non conoscevo nessuno.
Non mi sarei potuta sbagliare di più. Le prese in giro si moltiplicano esponenzialmente e il primo anno stento a fare anche solo qualche conoscenza, anche se verso la fine dell’anno inizio ad entrare in confidenza con una ragazza che per alcuni anni sarebbe stata una delle mie amiche più intime.
Anche alle medie vado bene a scuola, come al solito mi rifugio nello studio e nei compiti quando torno a casa, così da non sentire la solitudine. Tuttavia inizio una strana forma di autolesionismo verso gli 11-12 anni, che tuttora non so se sia realmente autolesionismo o meno.
Di nuovo mi dico: alle superiori tutto cambierà, le persone sono più mature, nessuno ti prenderà in giro, almeno non come ora.
Errore di nuovo, alle superiori ci sono gli immaturi che ti prendono in giro apertamente e poi ci sono i peggiori, doppiogiochisti, che si fingono tuoi amici, ma che scopri poi averti preso per il cu*o tutto il tempo tramite facebook (che io non avevo) e averti sfruttata per i compiti in classe. Non nego di aver avuto dei momenti sereni durante le superiori, ma i fatti avvenuti l’ultimo anno mi fanno dubitare della veridicità dei momenti avvenuti in precedenza. A marzo della quinta parto per la classica gita di una settimana. Lascio i miei amici del paese e dei paesi vicini che frequentavano altre scuole o altre classi, che erano partiti la settimana prima di me, quindi non ci saremmo visti per due settimane. In queste due settimane il mondo è crollato e non so ancora il perché. In gita come al solito ci si ubriaca. Ho scoperto a distanza di una anno che dopo molti drink, mi era stato offerto un drink fatto fare appositamente fortissimo, al solo scopo di divertirsi alle mie spalle. Con tanto di commenti su facebook: siamo riusciti ad affondarla la balena stavolta. Ma questo è il meno, erano miei compagni di classe con cui ritenevo di avere un bel rapporto ma nulla di più, un errore di valutazione che confrontato con altri non è nulla di disastroso. Quello che più mi perplime è quanto avvenuto con la cerchia più stretta dei miei amici, quelli appunto dello stesso paese o dei paesi vicini. Li conoscevo dalle medie, prendevamo la corriera insieme ogni giorno, ci fermavamo a parlare prima di andare a scuola e poi di nuovo il viaggio di ritorno a casa, inoltre si usciva spesso anche il sabato sera. Poi i primi hanno iniziato ad avere la patente, ad uscire con altre persone e a dimenticare la povera sfigata di turno che ero io. Al ritorno dalla suddetta gita di quinta, hanno smesso di parlarmi e perfino di guardami in faccia, senza nemmeno dire una misera parola di spiegazione. Quegli ultimi due mesi e mezzo di scuola sono stati l’inferno più assoluto, non capivo cosa avessi fatto, perché una mattina messi tutti in cerchio come al solito per ridere e scherzare nel piazzale delle corriere ad un certo punto avessero deciso di chiudere il cerchio e lasciarmi fuori dalla loro vita, dandomi le spalle, umiliandomi come non mai, facendomi sussurrare un “allora io vado, ciao” a cui nessuno a risposto.
Mi sono chiusa nella musica e in me stessa, in quell’estate ho frequentato una sola persona, anche lei ha poi deciso di prendere un’altra strada ovviamente. Dovevo decidere quale università frequentare. Volevo iscrivermi a ingegneria aerospaziale, ma con l’autostima più bassa che mai non me la sono sentita e sono finita a fare lingue, che ora odio con tutta me stessa.
Ho pensato: all’università tutto cambia, nessuno ti prenderà più in giro, nessuno tradirà più i tuoi sentimenti in questo modo.
Errore di nuovo. Non imparo mai dai miei errori. Dovevo andare ad abitare con questa ragazza che era rimasta mia amica, ma poi lei per problemi vari non c’era mai e dopo tre mesi ci hanno sfrattate dall’appartamento. Io sono andata ad abitare con altre coinquiline e lei non l’ho più sentita. So solo che ha abbandonato l’università.
Il primo semestre l’ho passato in solitudine, ma stavo bene. Bene davvero. Non volevo più conoscere nessuno, non volevo più essere ferita da nessuno. Ma poi, frequentando corsi di lingue con poche persone, è inevitabile suscitare la curiosità altrui ed è inevitabile non cedere alle lusinghe di nuove amicizie. Ho pensato che forse queste sarebbero state persone migliori. Ed effettivamente il primo anno è andato molto bene dal punto di vista sia accademico che delle nuove amicizie. Già all’inizio del secondo anno qualcosa si è incrinato, ci sono stati i primi problemi, persone che mi accusavano di essere cattiva e che incitavano le altre persone a smettere di frequentarmi, perché avrei fatto loro del male. Per fortuna queste due persone sono state isolate dalle altre che conoscevo. Al secondo anno iniziano i problemi anche dal punto di vista accademico, perdo il ritmo che avevo nel dare gli esami e anche i voti si abbassano. Conosco un nuovo amico che mi convince ad abbassare la guardia, che devo togliermi la maschera di finta felicità e mostrare quello che sono. Ho iniziato a farlo ed ho iniziato a perdere gli amici. Anche il rapporto con lui ora non è altro che a livello di un semplice conoscente. E questo mi fa malissimo tuttora. Ho provato a dirgli che ho bisogno della sua amicizia, ma dopo una birra presa insieme tutto è tornato come prima.
Al terzo anno, dopo tanti tentativi di autoconvinzione che così non era, mi innamoro. Inizia la mia autodistruzione. Mi dispero, piango talmente tanto da stare male, perché mi sento in colpa nei suoi confronti, perché io non dovevo permettere che ciò accadesse, perché prima di tutto siamo amici, e per fortuna lo siamo tuttora. Mi deprimo, inizialmente mi fiondo nei libri, do quattro esami in due mesi, numero per me decisamente alto, ma al contempo lo confido ad un paio di amici, tra cui proprio quello che mi aveva convinto a gettare la maschera. Inizio a perdere peso, mi nutro quasi solo di cioccolato e a volte nemmeno di quello. Vivo perennemente attaccata al computer per poterlo sentire il più possibile, quando sono in università dopo un po’ sento il bisogno di andare a casa, sono inquieta, devo tornare a casa a prendere la mia droga. Cerco consiglio in quasi tutti i miei amici di allora e alla fine, in un pomeriggio ad alto tasso di birra e canne, mando un messaggio a questo ragazzo. Avevo pianificato di dirglielo di persona, dopo una determinata lezione che frequentavamo insieme, ma lui aveva iniziato a non esserci più a quella lezione e il mio piano coraggioso era andato in fumo facendomi affossare e così ho preso la facile via del cellulare. Non ha risposto, il giorno dopo gli ho scritto spiegazioni tramite msn, poiché insomma, il messaggio era conciso e lui sapeva che ero ad un picnic altamente alcolico. Dopo la mia spiegazione ho ricevuto come risposta testuali parole: “tranqui

Sia prima che dopo averglielo confessato ho iniziato a bere e a mandare a puttane l’università. Uscivo con gli amici e bevevo, stavo in casa e bevevo ancora di più. Alle lezioni ci andavo poco. Un mese esatto dopo questa confessione c’è stata una festa di compleanno, a cui c’era anche lui. Io ero schifosamente inca**ata con lui, ho bevuto e fumato canne in quantità ed è finita in una pozza di vomito fuori dal locale, davanti a tutti i miei amici ovviamente. Il giorno dopo ho ripensato alla questione, ho pianto, pianto, pianto mentre parlavo con lui su msn, mentre lui mi chiedeva informazioni riguardo ad un esame che doveva dare e io avevo già dato, mentre dentro di me urlavo “NON ME NE FREGA UN c***o DEL TUO ESAME LO VUOI CAPIRE?”, ho deciso che la situazione non poteva andare avanti, che anche se io sapevo la risposta ancora prima di confessargli tutto, la risposta doveva venire dalla sua maledetta bocca. O tastiera, visto che siamo due codardi. Nel delirio più totale e in mezzo ad un fiume di lacrime che pareva incontenibile, gli ho scritto una mail delirante, dove tentavo di fargli capire quanto il contenuto della sua risposta in sé non mi interessasse, ma che volevo semplicemente che mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, che non fosse cambiare argomento. Credo che il suo cambio di argomento fosse stata una delle ferite più grandi mai infertemi, in quel momento tutte le prese in giro e gli amici che mi avevano voltato le spalle erano diventate nulla di fronte alla sua mancanza di quel minimo di coraggio per dirmi quello che pensava di quanto gli avevo detto, del fatto che gli avevo esternato i miei sentimenti. Questa volta ho ottenuto una risposta ed ho pianto di gioia quando ho capito che per lo meno saremmo restati amici, che non mi avrebbe mandata a fanc**o. Devo ammettere che per alcuni giorni seguenti sono stata anche bene, nella mail mi aveva detto che per me c’era e ci sarebbe stato.
Siamo giunti alla scorsa estate. Avevo vinto una borsa di studio per un corso estivo di un mese in Norvegia, ero contentissima perché non ci avevo proprio sperato, era stata una sorpresa, ma dall’altro lato, non volevo andarmene, perché sapevo che non l’avrei sentito per molto tempo, perché poi lui sarebbe stato via in agosto e i mesi senza sentirci sarebbero stati due.
Ma l’avevo visto come un’opportunità enorme questo mese in Norvegia, opportunità che ho sprecato nella depressione più totale, dormendo dodici ore al giorno e piangendo tra corso e ora di andare a letto. Ero decisa a non sentirlo, anche se avevamo l’opportunità di usare i computer dell’università. Tuttavia avevo promesso di mandare una mail ad un paio di amiche, quindi decido di andare in aula computer e di scrivere le mail. Entro nella mail, dalla quale allora si poteva anche chattare e tempo nemmeno dieci secondi lui mi contatta. E la mia anima è perduta. Inizio a passare i pomeriggi in aula computer, con la scusa di dover usare il dizionario ondine per fare i compiti che ci assegnano ai corsi, ma ovviamente voglio solo chattare con lui. Fino alla sua partenza le cose vanno così, io poi dovevo stare altri dieci giorni in Norvegia e ritorno alle mie dodici ore di sonno e pianti ininterrotti chiusa nella mia stanza. È qui che ho iniziato a pensare molto più seriamente al suicidio, ci penso da quando ho dodici anni, ma mi accorgo qui che finora era sempre stata un’ipotesi appetibile ma piuttosto astratta. Qui invece prende forma, acquisisce metodi e armi, tuttavia comunque poco realizzabile, la finestra dava su un bel prato scosceso e ricco di rocce ma l’altezza era poca e i tubi a cui volevo appendere la corda da bucato che avevo trovato nelle lavanderie erano troppo esili per reggermi. Quindi opto per la vita fino a metodo migliore. Inizia la voglia sfrenata di tagliarmi, guardo tutti i coltelli disponibili in cucina, ma non c’era nulla che tagliasse nemmeno il cibo, figuriamoci il mio braccio.
Ritorno a casa per le vacanze, fingo di studiare, ma in realtà non faccio nulla, se non aspettare che lui torni e mi scriva. Inizio a tagliarmi. Mia madre se ne accorge un giorno, mi chiede cos’ho fatto al braccio, “niente” dico, scappo in bagno e la questione è chiusa qui.
A settembre do un esame scritto giusto per dire che ho fatto qualcosa, che mi sono impegnata ma che sono stata bocciata, tanto i miei sono convinti che io stia sempre chiusa in camera a studiare, quindi la scusa l’avrebbero bevuta, non accorgendosi del mio eterno pazzeggio al computer. Agosto passa, ma lui non si fa sentire, a settembre mi scrive per dirmi che è tornato, ma poi sparisce, non si fa più sentire per dei mesi. Bevo, compro un bel coltellaccio da cucina affilato, mi taglio, non mi curo di nascondere nemmeno troppo i tagli. Pare che altre mie conoscenze l’abbiano fatto e mi dicevano: “è solo passeggero”, oppure anche “io l’ho fatto, tu sei solo una stupida” o ancora “anche io lo facevo perché non provavo più nulla”, ma qui si chiudevano le questioni e finivo a casa col mio amico coltello.
Varie persone sono sparite dopo l’estate, ma non ne sento la mancanza. Sento la mancanza di compagnia, ma non della loro in particolare. Ho iniziato a crearmi degli amici immaginari con cui mangio, per cui preparo dei pasti; li ho avuti altre volte prima, ma non erano mai stati così vivi, così veri. E lui è l’amico immaginario con cui sto più spesso. Spero che prima o poi realtà e fantasia si confondano, credo che allora sarò davvero felice.
Inizia la mia esperienza da studentessa fuori corso. Mi sento umiliata nell’esserlo, fallita.
Lui ritorna a scrivermi ed io ricomincio ad essere dipendente dal computer, anche se le conversazioni sono più brevi e più saltuarie di prima. E meno significative. Ma mi accontento.
Ora mi manca un esame, ma sono nelle stesse condizioni di un anno fa. Sento di non potercela fare a finire l’università entro marzo, la mia dipendenza mi assilla. Ho smesso di ascoltare musica, i miei soli interessi riguardano le cose materiali ormai, almeno quelle le posso avere. Ho smesso di tagliarmi per il solo fatto che in estate mi è impossibile nasconderlo, cosa che nemmeno mi importa troppo, ma non voglio che i miei genitori facciano domande. Io con loro non ho mai posato la maschera di finta serenità e non ho nessuna voglia di dirgli quanto male mi abbia fatto la loro assenza.