Dopo qualche giorno che sono qui, ho parlato con alcuni di voi - con qualcuno di più, con qualcuno di meno; un po’ vi conosco, almeno un minimo. Ho sentito alcune storie, alcune raccontate, altre quasi mimate testualmente o gridate (tutto metaforicamente,ma neanche poi tanto, nel linguaggio delle chat e dei forum). Storie che assomigliano, ma che sono tutte diverse; alcune dette con le parole degli adolescenti (mi manca il gruppo, mi sento invisibile, nessuno mi considera, i miei genitori non mi capiscono), altre con le parole degli adulti (il lavoro, le disillusioni, la fine dei sogni e delle prospettive); il tutto condito in alcuni casi da condizioni ed eventi molto dolorosi. Non ho granché da aggiungere. Non credo che raccontare una storia - la mia, così come la interpreto io - aggiunga qualcosa. Ripeterei un po’ dell’uno e un po’ dell’altro: l’adolescenza difficile, la solitudine, qualche lutto, qualche depressione. Molti si sentono “inutili”. Credo che intendano più o meno quello che intendo io per “fallito”: aver mancato gli obiettivi, sentirsi disapprovato ed emarginato, poco stimato dagli altri. Il ragionamento implicito, che non fa una piega (almeno apparentemente), è che se vivi su questo pianeta, con i tuoi simili, devi integrarti al cento per cento ed avere l’approvazione degli altri. Da qui deriverebbe un livello di successo direttamente proporzionale alla visibilità e all’approvazione di un gruppo.
Io ho avuto delle condizioni materiali e (diciamo) spirituali (non in senso religioso, non fraintendetemi) molto favorevoli: ho avuto dei genitori ottimi, benessere economico e stimoli culturali. Mi è stato concesso di scegliere quello che volevo fare e di assumere le mie responsabilità fin da ragazzo. Chiaramente non tutto va sempre come deve andare e basta un evento imprevisto per mandare a puttane tutto. E se non mantieni le aspettative, in una società basata sulla competizione, sei un fallito, sei inutile. Ma lo sei veramente? Dovrei disperarmi perché non ho un lavoro, perché il mio livello di studi post-laurea non è servito a niente, perché non mi sono fatto una famiglia, perché ho pochissimi amici, perché non ho la gratificazione di sentire l’sms di una ragazza che mi scrive ‘ti amo’ etc? Non ci riesco più a disperarmi, scusate. Vi rispetto, rispetto tutte le vostre sofferenze, che in molti casi derivano da situazioni ben più difficili della mia. Ma non me la sento di disperarmi per questo. Alle volte, come tutti, mi sveglio con la luna storta; mi incazzo, recrimino, rimugino su una società che è sicuramente ingiusta e sbagliata. Ma vivo la mia vita, vivo il presente, due chiacchiere con il porchettaio, una passeggiata sotto la pioggia, un piatto di spaghetti al tonno con il battuto fatto bene, un bicchiere di vino, una foto che mi è uscita bene, una musica che mi piace. Non me ne frega se il mio Tumblr lo seguono in 20 invece che in 2000; se molti che credevo amici in realtà non lo sono. Quello che mi capita di buono, poco o molto che sia, mi va bene e sto attento a godermelo. Di quello che pensa il microcosmo che mi circonda (perché siamo circondati da un microcosmo che ci sembra enorme, che sopravvalutiamo enormemente) mi interessa molto relativamente, anche se cerco di ascoltare tutti - non si sa mai. Se posso fare qualcosa per gli altri, lo faccio. Ma c***o, non posso pretendere di essere amato se non amo. Se non amo in primis me stesso e poi tutto quello di buono che c’è in questo mondo strambo. È per questo che mi accetto così come sono, sticazzi se sono considerato un fallito.
Questo è quello che avevo da dirvi.