
Un pensiero di (e per) Aleksandr Solzenitzyn (1918 - 2008), il più implacabile (e implacato)
accusatore del mostruoso genocidio stalinista, che ha documentato in migliaia di pagine
che sono giunte fino a noi (in circostanze che hanno del miracoloso) nel miglior saggio storico
di sempre: Arcipelago Gulag, di cui varrà la pena riportare qui l'incipit e i primi passi:
"A cuore stretto mi ero astenuto per anni dal pubblicare questo libro, già pronto:
il dovere verso chi era ancora vivo prendeva il sopravvento su quello verso i morti.
Ma oggi che la Sicurezza dello Stato ha comunque in mano l'opera,
non mi rimane altro che pubblicarla immediatamente.
A. Solgenitzlyn
settembre 1973.
In questo libro non vi sono personaggi né fatti inventati.
Uomini e luoghi sono chiamati con il loro nome.
Se sono indicati con le sole iniziali, è per considerazioni personali.
Se non sono nominati affatto, è perché la memoria umana non ne ha conservato i nomi:
ma tutto fu esattamente così.
Io non avrò l'audacia di scrivere la storia dell'Arcipelago: non mi è stato possibile leggere i documenti.
Toccherà a qualcuno conoscerli, un giorno? Chi non vuol RICORDARE ha avuto tempo sufficiente
(e ne avrà ancora) per distruggere tutti i documenti fino all'ultimo.
Io che sento gli undici anni passati lì, non come vergogna, non come sogno maledetto, io che ho vissuto
in quel mondo mostruoso e ora per di più, grazie a una svolta fortunata, sono diventato il confidente
cui giungono tanti tardivi racconti e lettere, saprò io portare agli altri qualcosa?
Dedico questo libro a tutti coloro cui la vita non è bastata per raccontare.
Mi perdonino se non ho veduto tutto, se non tutto ricordo, se non tutto ho intuito.
Un uomo solo non avrebbe potuto creare questo libro.
Oltre a quanto ho riportato io dall'Arcipelago: con la mia pelle, la memoria, l'udito e l'occhio, il materiale
per questo libro mi è stato dato, in racconti, ricordi e lettere, da //elenco di 227 nomi// Io non esprimo
loro qui la mia riconoscenza personale: sarà il nostro comune monumento eretto da amici in memoria di
tutti i martoriati e uccisi.
Da questo elenco avrei voluto far emergere chi ha faticato molto per aiutarmi, affinché quest'opera fosse
corredata di punti d'appoggio bibliografici tratti da libri esistenti oggi nei fondi delle biblioteche o da
tempo ritirati e distrutti, tanto che ci è voluta molta tenacia per trovare una copia superstite; ancor più
avrei voluto segnalare chi ha aiutato a nascondere questo manoscritto in un momento duro, e poi a riprodurlo.
Ma non è ancora giunta l'ora in cui possa osare nominarli.
Doveva essere redattore di questo libro un vecchio detenuto delle Solovki, Dmitrij Petrovitch Vitkovskij.
Ma una metà della vita passata LAGGIU' (le sue memorie sui campi sono intitolate appunto "Metà d'una vita")
ha avuto per conseguenza una prematura paralisi.
Quando già gli mancava la parola ha potuto leggere solo alcuni capitoli terminati
e convincersi che tutto SARA' RACCONTATO.
E se la libertà tardasse ancora molto a rilucere nel nostro paese, e passare questo libro di mano in mano
comportasse un grave rischio, dovrei inchinarmi con gratitudine dinanzi ai futuri lettori a nome degli
ALTRI, dei periti.
Quando cominciai questo libro nel 1958 non conoscevo nessuna opera narrativa o memoria sui lager.
Durante gli anni di lavoro e fino al 1967 ho gradualmente potuto conoscere i "Racconti di Kolyma" di
Varlam Scialamov e i ricordi di D. Vitkovskij, E. Ginzburg, O. Adamova Sliozberg, ai quali mi riferirò via
via come a fatti letterari a tutti noti (così dovrà pur essere alla fin fine!).
Contrariamente alle mie intenzioni e in contrasto con la mia volontà hanno fornito un inestimabile
materiale per quest'opera, conservando molti fatti importanti e perfino cifre, come pure l'aria stessa che
avevano respirato.
Sudrab-Lacis, Krylenko, primo pubblico accusatore per molti anni; il suo erede A. Jagoda;
Vyscinskij, con i suoi giuristi-complici fra i quali non si può non segnalare Averbach
Hanno fornito materiale per questo libro anche TRENTASEI scrittori sovietici con a capo
MAKSIM GOR'KIJ, autori del vergognoso libro sul canale del Mar Bianco, che per la prima volta
nella letteratura russa ha glorificato il lavoro degli schiavi!


