A che scopo vivere?

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A che scopo vivere?

Messaggioda Lester » 01/05/2017, 20:25



(mi scuso infatti se continuo a rispondere ahah, ma queste conversazioni mi mandano in loop)

eeeh Giuliz, a chi lo dici! :rolleyes:

Ciao Kathellyna
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Lester
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Re: A che scopo vivere?

Messaggioda .Daniel » 02/05/2017, 21:13



Giuliz ha scritto:
Lester ha scritto:Buonasera a tutti, spero di non essere entrato troppo tardi nella conversazione.
Credo che Daniel e Giuliz siano arrivati al nocciolo della questione, ovvero: è possibile trovare un equilibrio, una fonte inesauribile di energia e di stabilità, unicamente dentro di sé? Senza alcun riferimento esterno, senza il minimo "elemento valutativo" e solamente grazie ad un approccio "attivo" verso l'interno e "passivo" nei confronti di ciò che è fuori da noi? (attivo e passivo in questi casi non sono termini propriamente corretti, ma li ho usati solo per rendere l'idea) :giveup:
Credo che Daniel abbia detto cose giuste e comunque sempre valide, ma ho come l'impressione che un approccio esclusivamente "meditativo" sia da considerarsi anacronistico rispetto alla società e ai valori che (purtroppo) si sono instaurati in questo dato periodo storico.
Mi spiego meglio: il raggiungimento di un perfetto equilibrio interiore può considerarsi il massimo della realizzazione in una società che mette al centro della propria cultura la meditazione e la trascendenza; allo stesso modo si poteva raggiungere un buon grado di "soddisfazione" dal perfezionamento dell'arte filosofica in una società come quella greca piuttosto che dall'affinamento della spiritualità cattolica in un dato momento del Medioevo.
E si potrebbe andare avanti così accostando ad un'epoca una popolazione ed una precisa serie di valori comuni che dominavano tale popolazione.
E finalmente giungiamo a ciò che (credo) intendesse Nothingface all'inizio di questa conversazione: arrivati all'attuale periodo storico, alla luce di un appiattimento dei valori, di un'omologazione delle culture, di un'estremizzazione del materialismo e del consumismo, con un crescente approccio utilitaristico a qualsiasi forma di spiritualità ed ideale; un'epoca in cui i sentimenti sono filtrati dalla scienza; i reality e i social divengono surrogati di emozioni e cultura mentre i rapporti sociali sono sempre più riducibili a manifestazioni di scopofilia; COME SARA' MAI POSSIBILE REALIZZARSI AFFINANDO UNA DOTE CHE ARRICCHISCA UN "VALORE COMUNE" SE ORMAI NON ESISTONO PIU' "VALORI COMUNI"?

(spero di essere stato chiaro, ci ho messo un'ora a scriverla)
Quello che tu dici è senz'altro giusto: è davvero impossibile approcciarsi alla vita (in questo caso -parlando nel concreto- alla società) in termini meramente "meditativi" (anche se poi in realtà nessuno ci impedisca di farlo). Semplicemente in virtù del fatto che, come hai sottolineato tu, non siamo di certo i Monaci/saggi della situazione pronti ad elargire sentenze a destra e a manca. Il discorso però è al tempo stesso contorto e complicato (mi scuso infatti se continuo a rispondere ahah, ma queste conversazioni mi mandano in loop): infatti ci si potrebbe parlare sopra per l'eternità. Perché è complicato? Perché credo -parlo per me si intenda- che il fatto che si voglia trovare dentro di sè un equilibrio e un centro non equivalga per forza di cose a dire di voler vivere sulla cima della montagna (scevro e lontano da qualsiasi contatto umano) nè tantomeno che questo escluda di conseguenza quell'elemento "valutativo" (sia auto-valutativo che verso l'esterno) proprio di ogni essere umano. Significa solo che, nel momento in cui abbiamo assunto come presupposto di partenza il concetto che la rovina sociale e storica è ormai prossima, possiamo essere in grado di 1)vivere come riteniamo più giusto fare 2)arrivare alla conclusione che -ahimè- dati i contesti socio/culturali poco stimolanti, l'unico modo per poter "campare" è quello di TROVARE la felicità e la serenità all'interno di noi stessi. N.B. questo assolutamente non vuol dire che ci si debba accontentare di tale epoca così svuotata e prima di qualsiasi scopo, che si debba rimanere impassibili davanti alla incombente catastrofe. Vuole dire solamente che se tutti noi abbiamo trovato il nostro ritmo semplicemente guardandoci attraverso il nostro "occhio interiore", allora sarà più semplice fare qualcosa/realizzare qualcosa. E questo, a sua volta, porta all'altra questione che hai sollevato poco dopo: è possibile vivere in un mondo ormai svuotato da qualsiasi momento di valore, una modernità completamente dominata dai tecnicismi in cui vige il paradigma della superficialità? Assolutamente NO. Questo purtroppo si ripercuote per forza di cose sulla nostra individualità; ma non vuol dire che un nuovo giorno non possa sorgere, che un nuovo inizio non possa darsi sulla nostra via. Rivoluzioniamo ciò in cui crediamo, riportiamo a galla qualche principio comunitario, qualcosa in cui credere e forse potrà cambiare davvero tutto. Spero di non essermi persa nei miei ragionamenti. Buon primo maggio!


Io credo che anche questo sia il fulcro della questione: l'estremizzazione di una esigenza. Quando mi riferisco all'approccio meditativo mi riferisco ad una diversa maniera di percepire. E' il cosiddetto vivere il presente, assaporare il singolo attimo, realizzare che passato e futuro non esiste e che solo il presente è qui, è reale. In un certo senso è come lasciarsi trascinare da un onda, acquisire un rapporto trascendentale che colmi il vuoto lasciato da una società che mi limiterei a definire improntata all'utile (e non prossima alla catastrofe come si insiste qui). Come giustamente si è detto, non si può vivere senza valori, e su questo punto mi sono sbagliato. Di fatto acquisire principi meditativi che altro non sono che concetti che, insisto, sono più legati alla percezione che al filosofare, aiuta a confrontarsi con la realtà e ad acquisire un equilibrio interno e sono di fatto valori. Qui si tende a ragionare in maniera nociva con il cosiddetto "o tutto o niente". Essere propensi alla meditazione non significa rendersi del tutto ermetici rispetto al mondo esterno ed il fatto che oggi l'utile e la produttività diventi sempre più una esigenza di cui non si possa fare a meno, ciò non significa che non si possa trarre giovamento dalla meditazione. Ma dico di più: la meditazione ha un rapporto molto vicino al mondo ed è persino attuale. La sua filosofia (quella buddista) esamina la realtà come una massa enorme in costante mutamento di cui si è parte, e fornirsce conforto a partire da questo continuo mutare. E' un pò come far parte di un fiume che scorre in continuazione: si realizza che in fondo non siamo noi a dirigere la barca e a controllare il mondo, ma è la corrente a portarci. E' come tornare per certi versi ad essere animali e, bel paradosso, riservare i pensieri solo a qualcosa di utile. Dopotutto è davvero utile farsi carico del destino dell'umanità? E' unite trovare qualcosa di stabile in un mondo che per sua natura non è? Non è più utile invece limitarsi semplicemente a fare la propria parte, ad esser parte del cambiamento che si vuole vedere nel mondo? Capite, non si tratta di essere ermetici: al contrario, si tratta di essere parte del mondo, di essere presenti, ma di non viverli attraverso il filtro oscuro della propria mente. Sono i pensieri a costruire la nostra realtà. Quelli negativi sono quelli che determinano il nostro cattivo umore. Esiste un modo per poter percepire e non essere vittime del flusso costante di pensieri negativi, e questa è la meditazione buddista. E' un fare, non un pensare. E solo una pratica che fornisce un nuovo modo di percepire la realtà. Altro non è che il porre il pensiero in secondo piano come strumento del proprio essere. Significa realizzare che non si è pensiero, cosa che, su questo sono d'accordo, la società lascia credere. La maniera migliore per comprenderlo veramente è viverlo semplicemente provando a non pensare. Ma non solo: si può scegliere persino cosa percepire, quale emozione vivere e cosa si vuole pensare. Si veda su questo la psicologia cognitivo-comportamentale e la REBT di Albert Ellis.

In riferimento alla società, ma davvero credete che non ci siano valori reali? Per quel che mi risulta esistono le ONG, esiste la democrazia, una lotta costante per il bene comune, senso di astio comune per ingiustizia, esistono tanti scopi per cui lottare e molto potere di auto-realizzazione. Comprendo la percezione del mondo come materialista, perché effettivamente ne ha una impronta piuttosto marcata. Oggi si vuole che tutto sia smart e tutto tenda a diventare categoria. Non è una novità. Esempio? La Belle époque, tutta la sofferenza che il positivismo ha portato con sé. Ma oggi siamo più consapevoli di allora. Oggi non urliamo al vento che la scienza è la fede in cui tutti dovrebbero credere. C'è spiritualità, c'è importanza per i sentimenti, c'è importanza per la società, per l'individuo. Ma come c'è questo, c'è anche il suo contrario. Quindi io farei attenzione a non vedere quelli che sono i propri problemi come i problemi del mondo. Si badi che nero e bianco non esistano, ma solo il grigio. Tutto sta nel come si vuole guardare alla vita.
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Messaggioda Ātman » 02/05/2017, 21:34



La meditazione aiuta a scoprire l'essenza che precede il pensiero: consapevolezza pura, coscienza, o come vogliamo definirla. Ma in occidente siamo stati fuorviati dal Cogito ergo sum cartesiano, dimenticando che l'essere viene prima del pensare, e può condurre più lontano.
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Messaggioda Lester » 03/05/2017, 2:04



Credo di capire quello che dici Daniel, (anche se purtroppo penso di avere una conoscenza molto minore dell'argomento "meditazione" rispetto a te, e quindi non posso dare un parere obbiettivo se non limitarmi a dire, come ha detto Adrien, che anch'io "intuisco" il ruolo fondamentale della meditazione). Anche io credo che la meditazione non implichi un isolamento fisico (l'eremita sulle montagne), più che altro credo che comporti un isolamento a livello comunicativo, ossia: è molto più difficile, se non impossibile, codificare e poi tramandare (e forse non c'è l'esigenza) le conoscenze e gli insegnamenti che ci giungono da un esperienza che è contemporaneamente individuale (in quanto intima) e collettiva (in quanto comune all'intera razza umana).
E' un po come spiegare un sogno: per quanto particolareggiata sia la descrizione non potremo mai rendere perfettamente le sensazioni e le impressioni di quel viaggio notturno che ciascuno di noi compie da solo.
Infatti ogni disciplina che "insegna" la meditazione è fatta per accompagnarti per mano solamente fino all'uscio, poi il resto è giustamente a discrezione del singolo individuo.
Spero di non essere frainteso: credo che anche la filosofia o l'arte o la scienza o la religione utilizzino codifiche, chi più chi meno, inefficaci a trasmettere pienamente il senso di un valore, di un'esperienza o di un qualunque messaggio. Questo perchè il problema è strutturale (e si potrebbero aprire altre mille discussioni sui limiti del linguaggio e via dicendo).
Anche io credo che di "valori" ce ne siano ancora moltissimi, forse anche più di un tempo, e soprattutto anch'io credo che non siamo sull'orlo di una catastrofe.
Il problema è che non mi sembra di vedere valori "comuni".
Nel senso che sembra tutto estremamente annacquato, come dire, diluito. Non so se mi spiego.
E' un po come se fossero stati presi tutti gli elementi più digeribili di ogni dottrina o ideologia e tritati assieme per imboccare il maggior numero possibile di individui.
Ed ecco che ritornano quei surrogati di cui parlavo: la filosofia e la letteratura sono state ridotte, per lo più, a slogan o aforismi da scrivere su FB; della meditazione è stato preso l'aspetto più individualistico e distensivo, come se fosse stata declassata (sempre per la massa) ad un esercizietto da fare per conciliare il sonno e scacciare la rabbia; la cultura scolastica attuale sembra il bignami del quaderno di uno scolaro degli anni '20 e ormai le scuole hanno più materie di tutti i corsi serali attivi a Roma (manca solo una triennale su tutti i modi possibili di fare un risvoltino al pantalone).
Quindi valori "comuni" li intendo come : elementi fondamentali di cui la STRAgrande maggioranza delle persone capisca la REALE importanza e lotti affiché permanga la conoscenza di questa consapevolezza. Poi l'elemento in sè potrà passare o divenire obsoleto, ma rimanga sempre la comune conoscenza della sua importanza e non venga annacquato nel e dal tempo.
Riassumendo: credo che più importante dell'atto del meditare sia il fatto che TUTTA la gente mantenga viva la consapevolezza della fondamentale importanza della meditazione, in tutti i suoi aspetti (non solo nei surrogati), anche se poi non la pratica.
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Messaggioda Premio Nobel » 03/05/2017, 23:17



Adrien ha scritto:La meditazione aiuta a scoprire l'essenza che precede il pensiero: consapevolezza pura, coscienza, o come vogliamo definirla. Ma in occidente siamo stati fuorviati dal Cogito ergo sum cartesiano, dimenticando che l'essere viene prima del pensare, e può condurre più lontano.


Non sono concorde, in fondo nel pensiero occidentale c'è stato successivamente Kant, il quale semplicemente pone alla base l'imperativo categorico ed il noumeno (cioè basandosi di fatto sull'opposto di Cartesio) - da quel poco che mi ricordo, dovrebbe però essere stato Hegel infine ad avere riacceso con la sua "scienza dell'esperienza della coscienza" l'importanza del pensiero e quindi delle sensazioni piuttosto che dell'essere in quanto tale.

Più in generale è stato suggerito che ci sia stato un crollo dei valori nel nostro mondo ... secondo me se ciò è avvenuto dev'essere comunque ridimensionato, anche perchè presumerebbe che in passato ci fossero stati valori condivisi dalla totalità - è vero che nel mondo a noi contemporaneo ci sono molti limiti e critiche, però non dobbiamo dimenticare anche i pregi. In fondo, noi non viviamo più in una guerra mondiale ... molti di noi non sanno nemmeno che cosa sia semplicemente perchè non l'hanno mai vissuta (in passato è per molte persone tuttora, però, non è così)
Più semplicemente, credo che la risposta alla seguente domanda: "esiste un tema od una opinione che è condivisa universalmente da tutte le persone?" Sia negativa.
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Re: A che scopo vivere?

Messaggioda Giuliz » 04/05/2017, 7:04



Premio Nobel ha scritto:
Adrien ha scritto:La meditazione aiuta a scoprire l'essenza che precede il pensiero: consapevolezza pura, coscienza, o come vogliamo definirla. Ma in occidente siamo stati fuorviati dal Cogito ergo sum cartesiano, dimenticando che l'essere viene prima del pensare, e può condurre più lontano.


Non sono concorde, in fondo nel pensiero occidentale c'è stato successivamente Kant, il quale semplicemente pone alla base l'imperativo categorico ed il noumeno (cioè basandosi di fatto sull'opposto di Cartesio) - da quel poco che mi ricordo, dovrebbe però essere stato Hegel infine ad avere riacceso con la sua "scienza dell'esperienza della coscienza" l'importanza del pensiero e quindi delle sensazioni piuttosto che dell'essere in quanto tale.

Più in generale è stato suggerito che ci sia stato un crollo dei valori nel nostro mondo ... secondo me se ciò è avvenuto dev'essere comunque ridimensionato, anche perchè presumerebbe che in passato ci fossero stati valori condivisi dalla totalità - è vero che nel mondo a noi contemporaneo ci sono molti limiti e critiche, però non dobbiamo dimenticare anche i pregi. In fondo, noi non viviamo più in una guerra mondiale ... molti di noi non sanno nemmeno che cosa sia semplicemente perchè non l'hanno mai vissuta (in passato è per molte persone tuttora, però, non è così)
Più semplicemente, credo che la risposta alla seguente domanda: "esiste un tema od una opinione che è condivisa universalmente da tutte le persone?" Sia negativa.
Forse questo è vero, non è detto per forza di cose che nelle passate epoche storiche ci siano stati dei valori condivisi e universalmente validi per tutti. Il punto, o meglio, la situazione e la condizione in cui la gente viveva tuttavia era molto differente: ritengo che il problema fondamentale della nostra epoca non sia tanto uno svuotamento morale di qualsiasi istituzione/sovrastruttura (anche perché non è detto che si debba vivere per forza in un mondo in cui proprio alcuni valori siano comuni a tutti); quanto piuttosto l'idea di una precarietà dilagante (economica, politica, sociale) e di conseguenza un piano d'azione piuttosto limitato per l'essere umano esistente. Non so se si capisce, cerco di spiegarmi meglio. Quello che intendo dire è che purtroppo siamo protagonisti di una realtà apparentemente calma e pacifica, ma che sotto sotto cova grandi e indicibili problemi. Davvero l'Italia è uno di quei paesi in cui è possibile condurre una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo? Davvero ci offre tutto quello di cui abbiamo bisogno? Si può raggiungere quel famoso equilibrio meditativo, quella consapevolezza personale cui tutti aspirano? Ci troviamo in una società fortemente lacerata e ingiusta, secondo me: ingiusta perché non vi è l'opportunità/possibilità per tutti di fare ciò che si vuole. Non c'è libertà pratica -sotto ogni punto di vista- e dunque non c'è raggio di azione per ampliare sè stessi. E allora, tornando alla affermazione iniziale: in cosa erano differenti le epoche a noi precedenti, supponendo che anche li non vi fossero "valori comuni"? Erano diverse perché, nonostante la -mettiamo il caso- "crisi" in cui versavano, c'era sempre e comunque la possibilità di fare concretamente qualcosa, di trovare il proprio spazio nel mondo: vi era la speranza di costruire e cambiare il destino.
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Messaggioda .Daniel » 04/05/2017, 10:38



Giuliz ha scritto:Erano diverse perché, nonostante la -mettiamo il caso- "crisi" in cui versavano, c'era sempre e comunque la possibilità di fare concretamente qualcosa, di trovare il proprio spazio nel mondo: vi era la speranza di costruire e cambiare il destino.


Non sono d'accordo. Un tempo se non avevi i soldi o appartenevi ad una buona famiglia non eri nessuno. Il livello di istruzione era molto basso e l'attività principale era il primario, spesso come eredità dei propri genitori. Volevi diventare industriale? Sulla base di quali mezzi? (parlo degli anni '50 e prima). Con gli anni '80 e '90 le cose erano già diverse, ma mai come oggi tutti hanno diritto all'istruzione, hanno internet da cui possono trovare tutto quel che serve per imparare qualsiasi cosa, hanno corsi gratuiti ed una marea di possibili professioni in cui specializzarsi. Basta un click perché le cose cambino anche solo per qualcuno. E ti va magari di fare qualcosa di diverso in prima persona? Ecco che su google trovi associazioni di volontariato a non finire. Io credo che oggi se vuoi qualcosa per davvero alla fine la ottieni. Abbiamo più strumenti di quanto le vecchie generazioni abbiano mai avuto. Credo piuttosto che se di mancato controllo sulla propria vita vogliamo parlare, questo riguardi la maggiore libertà d'azione. C'è la crisi, è vero. Ma non manca mai l'esigenza. Da studente universitario iscritto alla facoltà di informatica, lo dico: c'è lavoro. Spesso non lo si trova perché ci si complica la vita, si acquisisce una mentalità antiquata, ci si iscrive ad esempio a facoltà che sostanzialmente non servono a niente. Chiaramente dicendo questo mi concentro perlopiù sulle nuove generazioni. Si tratta solo di pensare diversamente. Come ho letto in un libro di psicologia, forse oggi non esiste più il modello rigido a cui conformarsi ma la pulsione compulsiva di soddisfare l'esigenza di essere smart, veloci, di ottenere tutto e subito. E' qualcosa di molto subdolo che spesso si può tradurre in ansia, in depressione, nella misura con cui ci si fa travolgere.
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Re: A che scopo vivere?

Messaggioda Giuliz » 04/05/2017, 21:36



.Daniel ha scritto:
Giuliz ha scritto:Erano diverse perché, nonostante la -mettiamo il caso- "crisi" in cui versavano, c'era sempre e comunque la possibilità di fare concretamente qualcosa, di trovare il proprio spazio nel mondo: vi era la speranza di costruire e cambiare il destino.


Non sono d'accordo. Un tempo se non avevi i soldi o appartenevi ad una buona famiglia non eri nessuno. Il livello di istruzione era molto basso e l'attività principale era il primario, spesso come eredità dei propri genitori. Volevi diventare industriale? Sulla base di quali mezzi? (parlo degli anni '50 e prima). Con gli anni '80 e '90 le cose erano già diverse, ma mai come oggi tutti hanno diritto all'istruzione, hanno internet da cui possono trovare tutto quel che serve per imparare qualsiasi cosa, hanno corsi gratuiti ed una marea di possibili professioni in cui specializzarsi. Basta un click perché le cose cambino anche solo per qualcuno. E ti va magari di fare qualcosa di diverso in prima persona? Ecco che su google trovi associazioni di volontariato a non finire. Io credo che oggi se vuoi qualcosa per davvero alla fine la ottieni. Abbiamo più strumenti di quanto le vecchie generazioni abbiano mai avuto. Credo piuttosto che se di mancato controllo sulla propria vita vogliamo parlare, questo riguardi la maggiore libertà d'azione. C'è la crisi, è vero. Ma non manca mai l'esigenza. Da studente universitario iscritto alla facoltà di informatica, lo dico: c'è lavoro. Spesso non lo si trova perché ci si complica la vita, si acquisisce una mentalità antiquata, ci si iscrive ad esempio a facoltà che sostanzialmente non servono a niente. Chiaramente dicendo questo mi concentro perlopiù sulle nuove generazioni. Si tratta solo di pensare diversamente. Come ho letto in un libro di psicologia, forse oggi non esiste più il modello rigido a cui conformarsi ma la pulsione compulsiva di soddisfare l'esigenza di essere smart, veloci, di ottenere tutto e subito. E' qualcosa di molto subdolo che spesso si può tradurre in ansia, in depressione, nella misura con cui ci si fa travolgere.
Ma questo è discutibile, anzi è una vera e propria generalizzazione dell'argomento. Non credo che tutti abbiano questa esigenza di sentirsi smart, veloci e subito compiaciuti. Forse potrebbe essere valido per le -appunto- nuove generazioni, ma mi esprimo con riserve a tal proposito. Comunque non metto in dubbio quello che dici, infatti trovare i mezzi con cui crearsi qualunque tipo di lavoro è oggettivamente più semplice; oggi ma il fatto che lo sia non significa per forza di cose che sia più soddisfacente. La mia era solo una disamina secondo cui molto spesso i contesti storici e culturali in cui siamo costretti a svilupparci offrono una fetta di mercato, aprono una porta solo ed esclusivamente ad alcuni "settori": nel senso che non c'è davvero così tanta possibilità di dare voce a sè stessi. Lo dico da studentessa universitaria che proviene da una di quei corsi di laurea che tu reputi "poco utili".
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Messaggioda Premio Nobel » 04/05/2017, 22:53



dipende in parte anche a che cosa intendi con "dare voce a sé stessi":
- se intendi come il perseguimento di un proprio "benessere" (le virgolette sono doverose), secondo me possiamo convenire sul fatto che noi possiamo tendere molto più facilmente al nostro benessere rispetto a 50-100-200 anni fa e rispetto a buona parte del mondo contemporaneo (per quanto ho detto prima)
- se intendi come affermare i propri valori, la propria voce e più in generale la propria personalità, potrebbe non essere così fattibile, in quanto un aumento generale delle condizioni di vita e delle risorse, potrebbe far si che i miei valori e le mie posizioni siano incompatibili con le tue, entrambi abbiamo più risorse, ma ciascuno di noi rispetto all'altro no, e quindi potrebbe non essere possibile affermare così facilmente se stessi
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Re: A che scopo vivere?

Messaggioda Nothingface » 05/05/2017, 9:57



Giuliz ha scritto:ritengo che il problema fondamentale della nostra epoca non sia tanto uno svuotamento morale di qualsiasi istituzione/sovrastruttura (anche perché non è detto che si debba vivere per forza in un mondo in cui proprio alcuni valori siano comuni a tutti); quanto piuttosto l'idea di una precarietà dilagante (economica, politica, sociale) e di conseguenza un piano d'azione piuttosto limitato per l'essere umano esistente. Non so se si capisce, cerco di spiegarmi meglio. Quello che intendo dire è che purtroppo siamo protagonisti di una realtà apparentemente calma e pacifica, ma che sotto sotto cova grandi e indicibili problemi.

Il punto è proprio questo.
Negli ultimi messaggi di questa discussione si è continuato a ribadire quanto ci troviamo in una società che ci consente di vivere in condizioni migliori rispetto al passato - e su questo mi trovate d'accordo - però ho l'impressione che ci si fermi al "quanto sto bene io adesso", senza alcuna considerazione di quello che potrà avvenire nel futuro. Al di là del fatto che questo è un benessere esclusivamente "occidentale", quindi non è che ci troviamo in una condizione di benessere universale (anche all'interno dello stesso occidente non è che sia tutto rose e fiori), rimane il fatto che si tratta comunque di un benessere apparente (momentaneo, effimero, inutile). Ci sono problemi sociali, politici, economici ed ambientali, più o meno evidenti, per i quali non si sta trovando alcuna soluzione; non so come la situazione si evolverà, ma sono sicuro che, se le cose continuano ad andare in questo modo, gli effetti saranno catastrofici, forse fatali.
Considerando tutto questo, io (generico) cosa posso fare? Fare finta di niente e stare a guardare? E' ovvio che la situazione è più grande di me, ma forse è anche troppo grande perché un singolo stato la possa gestire da solo. Ormai sono entrati in moto dei meccanismi e delle operazioni che stanno facendo il proprio corso autonomamente, senza che vi sia dietro una qualche mente che organizza il tutto. Davvero non mi rimane da far altro che badare al mio piccolo orticello crogiolandomi nel constatare quanto stia crescendo bene? Perché io ho avuto questa impressione: quello che mi pare che molti di voi dicano è: "Tu (generico) bada a te stesso e basta". Ma non credo che badando esclusivamente a me qualcosa potrà effettivamente cambiare nel mondo: la macchina che si è messa in moto continuerà a percorrere la sua strada, finché poi non sarà troppo tardi. Magari è giusto così? Dopotutto cosa siamo noi uomini se non dei granelli di sabbia in un deserto? Ognuno di per sé conta così poco, quindi cosa gli può interessare degli altri, del futuro? Perché impegnarsi tanto per qualcosa che non ci riguarda così da vicino?
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