Sono un ragazzo di 19 anni. Durante il periodo dell’adolescenza l’idea del suicidio mi ha accarezzato molto spesso, raggiungendo talvolta picchi mai però sfociati in una decisione definitiva. Sono cresciuto e sono diventato molto amico con delle persone che mi hanno in un certo senso salvato. Il nostro bel rapporto ha avuto il successo di rincoglionirmi, distraendomi dalla mia miseria. Ora li ho lasciati. Sono partito per l’università e tutto è cambiato, non li vedrò mai più come prima e ho paura che la nostra amicizia cambi, che si incrini; il tempo fa anche questo. La prima settimana mi sono illuso di poter dare una svolta alla mia vita, conoscere nuove ragazze, essere finalmente amato e desiderato. Mi sbagliavo di grosso e l’illusione non fa altro che aumentare l’amarezza. Sento il bisogno fisico di abbracciare una ragazza che mi ama e che sia qui per me, una ragazza con cui vedere i film di von Trier quando fa freddo e si sta bene nudi sotto le coperte. Quando parlo di bisogno fisico lo intendo, mi è mancato molto questo durante l’adolescenza e questa mancanza mi ha segnato.
Non iniziate a dirmi che i problemi della vita sono altri, perché né voi né nessun altro ha l’autorevolezza di definire quali siano le priorità di un essere vivente. Per qualche anno ero riuscito con successo ad infossare il desiderio, a distrarmi, ad uscire con gli amici, ma tutto torna a galla. Non è una questione di come ci si rapporta con la vita, è la vita stessa ad essere sbagliata. La vita è talmente grezza che quando ti dimentichi quanto fa schifo sente il bisogno di ricordartelo, ti sputa nella minestra, e quando la guardi negli occhi capisci che non hai più fame. Se non mi sono ancora ucciso è perché mi sento troppo umano, vorrei come minimo un contentino, vorrei vedere cosa penserebbe la gente della mia morte. Chi piangerebbe per me? Forse finalmente mi sentirei vivo; poi verrei dimenticato e finalmente la morte mi concederebbe il lusso di non esistere.