La sofferenza la può comprendere appieno solo chi la vive. E infatti, si suol dire che si è sempre soli nella sofferenza. Purtroppo nel caso della depressione, delle fobie, di certe pesanti timidezze, entra in gioco anche una difficoltà oggettiva dell'altro a comprendere come rapportarsi.
Sembra paradossale. Mi direte "ma sono io quello/a che sta gridando aiuto", vero, ma l'altro è veramente in grado di comprendere il tuo linguaggio? Perché il linguaggio del depresso/a non è il linguaggio del non depresso, sono diversi persino i modi di pensare e percepire se stessi e gli altri, e molto.
Cri84dsl, nell'altro topic, elencava le cose da non dire a un depresso. Perché? Perché gli altri non capiscono quel che hai dentro. Non sanno delle tipologie dei flussi di pensieri che attraversano la tua mente. Ti dicono "datti una mossa", pensando che a spronarti sia utile. Solo che tu sai benissimo che dovresti darti una mossa, il problema è che non ci riesci, non hai le energie per farlo. Ma in quel dirti "datti una mossa" c'è tutta la sua difficoltà di capire i moti di una mente e di uno spirito che soffre.
Gridi aiuto senza parlare, perché non ti riesce di fare altro. Ma come fanno gli altri a leggere nella tua mente? Questo potere non ce l'ha nessuno. Il problema è che c'è distanza tra due mondi mentali che non hanno un reale canale di comunicazione.
Non è una questione di perspicacia, di intelligenza, e nemmeno di sensibilità, è una questione di non conoscenza. L'altro può percepire che stai soffrendo, è vero. Ma non è in grado di afferrare l'intensità, la profondità, la qualità, la forma reale. Inoltre, quando si brancola nel buio della conoscenza, si finisce col pensare che certe cose si risolvono come in uno schioccar di dita: basta voler questo, far quest'altro.
