Infinitudini

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Infinitudini

Messaggioda Nihirei » 16/07/2014, 14:54



Sono stata una bambina.
Una bambina umana.
Questo sì, dev'essere successo. Perché, vedete, ho ricordi in proposito.

Il condominio, d'un candore violento. Il giardino edenico. Le mura... il Confine Assoluto.
Le cascate del Niagara proposte alle lucertole, che poi stendevo, agonizzanti, a "prendere il sole".
L'oltrepassare il portale trai due cipressi. Lo spirito dei fiori blu. Le notti di placenta smagliata, di realtà sfasate, da cui erranti giungevano, smarriti. Ero Caronte. Quando, in ginocchio sul letto, bisbigliavo loro la via.
I mattoni che scorrevano, le ombre d'agosto, i codici di Loro nella corteccia, i pertugi.
La foglia che si trasforma in mantide religiosa, dopo essere caduta sui miei capelli. Il culto dei miei capelli trasmutanti...
Le torri di guardia arboree.

All'epoca eravamo sei, sette bambini. Le lotte che non si fecero!... le vespe, le ortiche, i rovi... I rovi... (Luoghi oscuri, segreti, dove per sempre risuoneranno parole che ho dimenticato, senza scordare.)
Crescevo. Sana, robusta, imperante.

Ma in un luogo che non esisteva.

E quando si sono aperti i cancelli... le infinitudini.

Un, due, tre, stella. Nascondino.
Acchiappino.
Ridevo, ed echi si aggrappavano a me come strascichi, tanto più possessivi ora che non ero più loro vestale. Antichi odori, più intensi, mi stordivano, macerando il mio animo ammantato dal grembiulino blu.

Venni consacrata a questa realtà alle medie. L'unico mio istinto: sopravvivere.
A cosa?
Perché?
Istinto.

Sesso, iron maiden, chitarre da fricchettoni, bassisti senza palle, canne, tette, pompini fatti da ragazze con l'apparecchio. Le prime seduzioni, le prime erezioni. Peace&Love. Pisello. E giù a ridere.
Erano gerghi sconosciuti, segni segreti, codici, più intricati di quelli rivenuti negli scheletri delle foglie d'acero.
Una lascivia cruda che non potevo dileguare.

Arabescavo qualcosa che potesse assomigliare in controluce ai compiti per casa. Fine dei compiti per casa.
Studio? Mai studiato in vita mia. Al Classico, forse. Il giorno prima delle verifiche, mai più di un ora. Diluita in sguardi vacui contro il muro.
Arroccata nel sublime, ero una sentinella spietata.

Il sublime...
Il sublime erano i deliri.
L'esca dei deliri, desideri estinti. Scatenati dalle mie letture, libri disumani.

E quando fui troppo incrostata di cicatrici per essere corteggiata dai deliri, cominciai a scrivere. Scrivevo, perché non concepivo la possibilità di vivere. Scrivevo, ed erano spade lorde di sangue, erranti braccati, assideramento, cancrena, stupri e torture che si dilungavano per capitoli interi.

(Non fraintendete. Non ho mai praticato l'autolesionismo. Suppongo perché avrebbe per me significato il dover rendermi conto di avere un corpo, di avere una lama, di poter trarre sollievo dalla lama, da qualcosa di questo mondo... Io neanche lo concepivo, questo mondo.)
(Chiunque abbia scritto, suppongo, sa di essere Dio, finché continua a scrivere.)

Dunque, il Classico.
Occhi bassi, emaciata, silente.
Schiva, ignara. Timida forse?
Imbarazzante, nevrotica, senza cuore.
Bocciata.
M'intestardivo a rifiutare tutto. I ricordi, perché perduti. Gli insegnamenti, perché ridicoli. Le ragazze, perché insulse. I ragazzi, perché inutili.
La realtà. Perché infinitudine.

Mi aggrappavo ai miei scritti, ma ormai ogni parola aveva il sapore d'ultima cenere. L'ispirazione, bruciata.
La Dea,
solo decaduta. Sgomenta di tutto.

"Adesso sono brava a somigliare ad un essere umano. Dannatamente brava".
Vorrei poterlo dire, in realtà. Ma, per quanto mi contorca, ne sono solo la pessima, grottesca caricatura. (Yurie, Anna, Phédre... mi siano a testimoni: ho tentato di esserlo, ho tentato di addestrarmi.)

Adesso che non ho più niente da proteggere, posso consacrarmi umana senza rimpianti. Eppure, perfino l'estremo sacrificio non mi donerà... qualunque cosa avrebbe dovuto.
Perché io non ho tessuto cicatriziale che parli d'infinitudini. Non di pelli corrose, di cicatrici puntiformi. Non di carne bagnata, di sguardi d'ombra. D'orchidee. Di punteruoli.
La prima volta che si sfiora un seno. L'ultima volta che lui ti ha voluto.
I rumori chiusi nelle stanze...

Sono rimasta indietro. Mai avrei potuto sospettare quanto. E ho paura. Ho paura... Tutto è troppo intenso, troppo pericoloso, troppo vicino.
Vorrei essere (stata) chiunque. Vorrei fuggire.
Vorrei veder morire ogni cosa perché testimonia e alimenta il mio tormento.
Vorrei aver fatto tutto.
Ma non posso, non posso
barattarlo con la mattanza del mio corpo.
Perché mi devo proteggere,
l'ultimo
(Dissennata, cieca e violenta, bestiola decapitata.)
istinto che mi è rimasto.

Post scriptum
Il primo dono ricevuto.
Il cadaverino di un passero, smangiato dalle formiche.

Il primo bacio ricevuto.
Una chiostra di denti sulla guancia.

La prima dichiarazione d'amore.
"Resta nei rovi, ti proteggerò a costo della vita: io ti amo".
Resta nei rovi...

Ho sempre saputo del sesso. Tanto dettagliatamente da sconcertarmi. (C'è stato un momento, nella mia vita, in cui oziosamente mi domandavo se non fossi stata stuprata. E per quanto tempo. E come.)
Non mi è mai importato. Forse è uno strascico di quel periodo, il non concepire come qualcosa di questo mondo possa provocare piacere. Possa essere altro e non squallore.
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Infinitudini

Messaggioda Royalsapphire » 21/07/2014, 9:18



Bellissimo il tuo modo di scrivere. Emozionante. Poetico. Forte!
Gran bello sfogo, grazie per aver condiviso. E spero che anche tu abbia tratto beneficio dalla condivisione e dall'aver immortalato un raggio dei tuoi pensieri.

Solo una domanda... se non ti crea problemi... sei m o f ? Perchè dal profilo risulti f, tu stessa parli al femminile ma nel racconto accenni a fellatio da parte di ragazze con apparecchio XD
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