Due o tre parole

Questo forum di aiuto è dedicato a chi ha un temperamento timido e introverso. A chi si sottovaluta, a chi ancora non si ama, a chi avverte un costante vuoto interiore che ha bisogno di colmare. Non affrontiamo tutto da soli. Condividere questi disagi è un primo passo verso l'apertura. E' un nostro diritto! Lasciamoci colmare dal calore di chi ci sta vicino!

Due o tre parole

Messaggioda FitzChevalier » 03/10/2014, 14:42



Sto pensando ad una buona introduzione per quello che sarà forse il racconto più lungo e noioso custodito in questo forum. Non è una storia particolarmente violenta, particolarmente rabbiosa, particolarmente scandalosa, particolarmente estrema. E' una storia insignificante, davvero...

Ok, allora... Da piccola, durante tutti e cinque gli anni delle elementari, sono stata oggetto di scherno e scherzi continui da parte dei miei compagni di classe. Non entrando troppo nel dettaglio, non si trattava affatto di cose crudeli o umilianti: mi storpiavano il nome e inventavano rime, prassi era, durante la foto di classe, mettersi dietro di me e spingermi a terra al momento dello scatto (allora si usavano le macchine usa e getta, quindi scoprivo l'entità del danno solo quando la maestra appendeva al muro la foto con io che cadevo), quella volta che C. e M. giocarono a calcio usando come palla un piccoli brividi preso dal mio zaino ancora brucia. E così via. Io abitavo in una frazione dimenticata da Dio e dagli uomini, a scuola eravamo in una quarantina, e dopo la nostra classe di sette bambini si saltò un anno per mancanza di iscritti. Oltre a me, in classe c'erano quattro bambini, quelli che passavano le giornate a punzecchiarmi, una bambina che sospetto fosse una bugiarda patologica (e che spesso si univa ai maschi) e un'altra bambina, succube della prima, che si dichiarava mia amica a giorni alterni. Come vedete, non c'era la possibilità di andare a trovare le amichette di un'altra classe per avere un po' di sollievo. O stavo con i miei compagni, o stavo da sola.
All'inizio, ogni qualvolta ero vittima di uno scherzo, ne andavo a parlare con le mie maestre. Ma quelle, che tra l'altro dimostravano un abnorme senso di irresponsabilità (palese perfino a una bambina di 8 anni) chiudendosi in bidelleria durante le ricreazioni e riprendendo le lezioni anche dopo UN'ORA dal suono della campana e lasciando nel frattempo i bambini liberi di fare quel cavolo che preferivano, rispondevano: "quello che ti dicono lo fai entrare da un orecchio e lo fai uscire dall'altro; non è niente di che, se non reagisci si annoieranno e ti lasceranno stare". Ci ho provato e non ha funzionato. Guarda un po'.
Ero esposta a tutto, e nessuno prendeva le mie parti. Io sono sempre stata orgogliosa, non sono mai stata in grado di restare zitta e buona mentre gli altri si prendevano gioco di me. Iniziai ad arrabbiarmi, a piangere, rincorrevo chi di faceva stare male e lo picchiavo. Ottenni solo di offrire un maggiore divertimento ai maschi, e agli occhi delle maestre divenni quella pazza. Anni dopo seppi che il maestro di religione aveva consigliato a mia madre di darmi dei calmanti. Perché non erano i maschi della mia classe che mi facevano stare male, ero io che in quanto pazza mi comportavo in modo violento e irragionevole. Il passaparola si rincorreva nei corridoi e fuori, ogni supplente entrava in classe sapendo quanto fossi una piantagrane, e pure le altre mamme mi conoscevano. Dopo il catechismo, sempre nella stessa frazione e con un prete che mal sopportava i miei scatti di rabbia, correvo fuori più veloce che potevo e mia madre mi accompagnava dalla mia nonna, a giocare col cane e a guardare la televisione. Mi ricordo che su rete4, di sabato pomeriggio, davano i film su Poirot. Quando, per un motivo o per l'altro, mia madre ritardava o mi diceva che sarei dovuta restare in oratorio per un'ora o due, scivolavo senza farmi in una stanzetta vuota usata per vedere i film e leggevo.
In terza elementare, dal momento che "le mie scenate" non diminuivano, e le maestre non riuscivano a spiegarsi il perché, mi portarono da una psicologa, la quale cercava di convincermi che ero io il problema, e che per stare meglio dovevo imparare a subire in silenzio. Ci andai per un anno, poi mia madre smise di portarmi.
Nel giugno della mia quinta elementare ero sfinita. In quell'anno, tra l'altro, le lezioni di musica le passavamo a imparare canzoni e mi beccavo insufficienze su insufficienze perché mi rifiutavo di cantare di fronte alla classe. L'ultimo giorno di scuola non salutai nessuno, stracciai la lettera di buona fortuna che le maestre avevano distribuito alla classe e uscii dal cancello senza voltarmi. A casa distrussi anche tutti i lavoretti che mia madre aveva disposto sulle mensole più alte.

Alle medie avvenne un miracolo: siccome non ero più in classe con M., colui che più spesso mi tormentava, anche gli altri ragazzi smisero di combinarmi scherzi. Il primo giorno di scuola l'insegnante di lettere (che aveva ricevuto una lettera da parte delle mie maestre) doveva aver fiutato il vero problema, e mi prese da parte durante la ricreazione per dirmi che dovevo parlare con lei per qualsiasi problema, e che per me la biblioteca della scuola era sempre aperta. Lei stessa, durante il primo colloquio, definì inutile e priva della benché minima verità la lettera ricevuta. A scuola diventai una persona completamente nuova. Tra i primi tre della classe, con una marcata attitudine allo studio e una facilità di apprensione che neanche io sapevo di avere. Per le mie compagne ero un punto di riferimento, sapevano che sapevo mantenere i segreti, e che non rifiutavo mai un aiuto. Gli insegnanti spesso mi affidavano compiti di responsabilità e io non potevo che crogiolarmi nella mia nuova Io. Neanche quando, in terza, ci furono dei litigi la mia autostima ne risultò scalfita; anzi, disprezzavo chi dopo un litigio andava a piangere da mamma e papà (mia madre mi rimproverava perché non facevo altrettanto e quello che succedeva lo veniva a sapere dalle altre mamme), e una volta mi ritrovai ad affrontare a muso duro il padre di una compagna di classe che avevo insultato (non ne vado fiera, ma sapevo esattamente cosa le avrebbe fatto più male ed ero troppo arrabbiata per fregarmene). Perfino i miei rapporti con i tre maschi che erano stati miei compagni alle elementari cambiarono: in seconda media era la prassi fare i compiti insieme, e chiamarsi al telefono in caso di necessità. Questo almeno finché non si accorsero che non ero una bella ragazza, e che non valeva la pena perdere tempo con me. In terza non mi invitarono neanche una volta.
Nello stesso periodo avevo scoperto gli anime e i manga, ero diventata moderatrice di un forum su quell'argomento e traducevo anche alcune serie. Avevo conosciuto una marea di persone con i miei stessi interessi e con tre di loro sono in contatto ancora oggi.
Feci la cresima e dopo essermi allontanata prima che il vescovo mi schiaffeggiasse festeggiai al ristorante la fine di quell'ultimo legame con un passato che volevo dimenticare. Avevo smesso di credere da diversi anni e fui felice di non dover più mettere piede in una chiesa.
Agli esami di terza media ebbi una sventagliata di 10 più un 5 in mate (ops), uscii con un 9 finale e a settembre ero pronta a fare faville anche al classico.

Il primo giorno di liceo il nostro professore di latino e greco ci informò del suo disprezzo verso di noi. Doveva andare in pensione quell'anno ma aveva chiesto di poter restare e portare la sua classe agli esami. La scuola gli aveva offerto un part-time e una quarta ginnasio, o niente. Accettò con la morte nel cuore. Lui voleva insegnare le lingue del passato a gente in grado di apprezzarle, e invece si ritrovava a fare selezione come un operaio, dividendo i quartini in buoni e marci. Ci tengo a precisare che quello fu il suo discorso di benvenuto.
Quello stesso giorno, a ricreazione, mi ritrovai in classe con i soli ragazzi, feci la loro conoscenza e uno in particolare spiccò tra gli altri. Ci scambiammo i contatti msn e i giorni successivi li passammo a chiacchierare non appena fosse possibile. Dopo che mi vide con gli occhiali disse che mi donavano un'aria seria, e che gli piacevano, e iniziai a portarli ogni giorno. Dalla classe uscivamo sempre insieme e ci salutavamo sul portone, un paio di volte mi invitò a fare colazione in un bar vicino prima di andare a scuola. Dopo due o tre settimane su msn mi chiese se mi andava di diventare la sua ragazza. Gli risposi di sì, ma il giorno dopo, sempre su msn, mi spiegò che in realtà non gli piacevo, che la sua era una prova e che in sostanza mi lasciava. Senza rancore però, eh. Non ho più rivolto la parola ad un ragazzo dopo quella volta. Quel pomeriggio, triste e anche un po' umiliata per essere stata presa e lasciata in quel modo, non studiai come dovuto e la mattina successiva toccò a me andare alla lavagna per la prima interrogazione di greco dell'anno. Andò tremendamente male, e l'insegnante, fedele al suo "fare selezione", mi torchiò fino al suono della campana. Tornai al posto ferita più che mai e sapendo che la classe, non conoscendomi da prima, avrebbe registrato e mai più dimenticato quella prima volta in cui ero stata al centro dell'attenzione. Voglio aprire una parentesi inutile sull'insegnante: dimostrava un rispetto e un amore incondizionato verso le materie che insegnava. Era uno vecchio stampo, convinto che il classico fosse una scuola d'élite e deciso fino in fondo a lasciar passare solo il meglio del meglio. Si era accanito su molti ragazzi che, per abbigliamento o modo di comportarsi, non rispecchiavano il suo concetto di meritevole. Con gli altri non fu mai clemente e non ci nascose che considerava il fallimento una vergogna. Dei 31 che eravamo in quarta, in quinta ci arrivarono solo 15.
Presi la bocciatura come una sconfitta umiliante, esattamente come avevo sempre pensato. L'insegnante di latino e greco aveva solo rafforzato la mia convinzione, e più insufficienze prendevo più mi convincevo di non essere meritevole, di non essere nessuno. C'è da dire che avevo scelto il classico non per convinzione personale. La mia insegnante di lettere delle medie me l'aveva consigliato, i miei erano entusiasti all'idea della figlia al liceo classico e anche io ero stata contagiata da quella forma di pensiero. Per quello quando mia madre insistette perché ritentassi al classico non mi opposi. Del secondo anno non ricordo molto. Gli insegnanti erano tutti diversi ma non ne ricordo neanche uno, e so di aver preso nel primo quadrimestre anche dei 9 in latino, il problema era che ero in una delle scuole più rigide ed esigenti senza sapere perché. Non avevo la motivazione dei miei compagni e mentre loro trovavano la forza di andare avanti, io mi accorsi di restare sempre più indietro. Tornarono le insufficienze e immediatamente mi convinsi che l'insegnante di latino e greco dell'anno scorso aveva ragione. Ero marcia e non meritavo di restare in quella scuola. Venni bocciata e quell'estate fu un continuo litigare con mia madre, che pestava il piede sul fatto che fossi un parassita, che non meritavo niente di ciò che avevo e che mi avrebbe tenuta a pane e acqua (e lo fece davvero per tre settimane), perché non voleva spendere un euro più del dovuto; dovevo ringraziare il cielo che fosse reato sbattermi fuori casa, altrimenti l'avrebbe fatto. Accusò anche internet che mi aveva plagiata e per 6 mesi non mi fece usare il portatile che mi era stato regalato per la cresima.
A settembre iniziai la ragioneria e la vergogna per essere stata bocciata due volte era tale che limitai i contatti con chiunque. Le poche amiche del classico con cui parlavo aspettando il treno, quelle delle medie, perfino le poche persone conosciute sui forum. In classe evitai di rivolgere la parola a chiunque e arrivai perfino a dire di essere del 96 e non del 95, per poter affermare di essere stata bocciata una sola volta. I miei compagni di classe sembrarono ritenersi personalmente offesi dal mio rifiuto di legare e alcuni non persero mai occasione per fare i sarcastici o farmi notare gli errori. I professori non erano autoritari e durante le lezioni sul mio banco pioveva di tutto. Ero tornata ed essere la bambina presa di mira alle elementari, ma quell'anno mi sforzai di non reagire mai. Una volta mentre il professore di scienze interrogava un ragazzo alcuni dietro improvvisarono una gara a chi mi colpiva più volte sulla nuca con delle palline di carta. Il rappresentante mi vide con gli occhi rossi e fu lui a richiamare l'ordine con un gesto della mano.
Fui promossa con ottimi voti, e a settembre dell'anno successivo passai al serale, dove recuperai un anno con gli esami di idoneità e iniziai la terza in una classe di 13 persone. Il clima era familiare e disteso, con i professori c'era un rapporto diverso e i compagni di classe erano deliziosamente adulti. Io ero la più giovane, a 17 anni. Gli altri andavano dai 24 in su. Quasi tutti lavoravano, avevano già una fitta rete di amicizie e tra me e loro c'era un abisso di differenze. Passai l'anno con una buona media, senza farmi notare.
Perché avevo bisogno di stare tra gente della mia età, e confidavo che in quarta avrei trovato ragazzi più maturi, feci domanda per tornare al diurno. Ecco, ovviamente il serale, avendo solo il 3°, il 4° e il 5° anno, per materie come inglese e matematica è leggermente indietro come programmazione. In più noi del serale non avevamo francese e informatica, ed erano materie che avrei dovuto recuperare durante l'anno. Le disparità in quelle materie si fecero subito notare (soprattutto in matematica, se ricorderete non sono mai stata una cima), ma i professori tutti si dichiararono disponibili a darmi un aiuto, il tempo di recuperare. Per inglese e informatica non ebbi problemi e presto fui alla pari on gli altri, ma matematica e francese mi presero troppo tempo, perché oltre a ciò che studiavo in classe avevo altri argomenti da recuperare. Diritto ed economia politica esigevano uno studio mnemonico e assiduo che non fui in grado di assicurare pienamente. Inoltre i compagni di classe, l'unica vera motivazione che mi aveva spinta a tornare al diurno, si rivelarono distanti come interessi e pensiero. Non legai con nessuno e mi ritrovai di nuovo da sola. Scivolai di nuovo in un periodo con l'autostima sotto i tacchi, e forse per quello mi aggrappai all'unico ragazzo che sembrava avere un qualche tipo di interesse nei miei confronti. In un modo o nell'altro ci ritrovavamo spesso vicini (sull'autobus, in palestra, nell'aula video, poi in classe quando dopo il cambio di aula ci ritrovammo seduti uno davanti all'altra). A volte mi accorgevo che mi guardava e le poche volte che gli chiesi un aiuto si dimostrò estremamente gentile. Era un ragazzo schivo e silenzioso, il migliore della classe. Da un lato ero convinta di piacergli, un po', dall'altro non si fece mai avanti e quando fui io a tastare il terreno chiedendogli se fosse possibile, data la sia incredibile bravura, che mi aiutasse una volta anche fuori dalla scuola, rifiutò.
Intanto la scuola andava sempre peggio e alla fine di ottobre, quando in corridoio, con discrezione, chiesi all'insegnante di diritto la cortesia di non chiamarmi quel giorno, se avesse deciso di interrogare, e lei cinque minuti dopo mi chiamò alla lavagna per prima, decisi che non avrei messo a rischio l'anno per nulla. Oltretutto parlai anche con l'insegnante di inglese, che confermò lo scarso interesse del consiglio. Fuori dai denti, penso che mi abbiano accettata solo per dimostrate la superiorità del diurno sul serale. La professoressa di diritto ne era convinta al cento per cento. La mattina che consegnai in segreteria la domanda per tornare al serale attesi il ragazzo che mi piaceva e, al grido interiore di "o la va o la spacca", convinta fino in fondo ce certe cose vanno dette guardando la persona negli occhi, raccolsi il coraggio a due mani e gli dissi che da quel giorno non sarei più venuta a scuola, che mi sarebbe dispiaciuto non vederlo più e che mi chiedevo se ci fosse la possibilità di sentirsi anche al di fuori della scuola, perché in definitiva lui un po' mi piaceva. Lui con evidente imbarazzo mi disse che doveva andare in classe, ma che ne avremmo riparlato. Su FB, magari? Non ne riparlammo più. Gli scrissi io una settimana più tardi, esordendo con un "allora, come va la classe, ora che nessuno può più dire che tanto Valeria ha fatto di peggio?" e proseguendo con la scusa di sapere quali libri avesse consigliato il profe da leggere per Natale. Lui prima mi rispose male ("chiedilo a qualcun altro, io non ho problemi con i voti"), poi continuò a monosillabi. Al che mi stufai, lo salutai e a luglio lui mi scrisse un messaggio di sentiti auguri per il mio compleanno. Quindi oltre che vigliacco pure str***o. Se fossi appena appena più cattiva riporterei la discussione.
Comunque, con la coda tra le gambe ritornai al serale. Mi accolsero tutti bene, ma nonostante ciò avevo ricevuto un brutto colpo e la mia autostima era di nuovo a terra. I miei voti oscillavano tra il 5 e il 6, in matematica presi dei 4, mi chiusi ancora di più e nel giro di tre settimane ingrassai di una decina di chili, e già prima ero grassottella. Avevo perso interesse in tutto, i libri sul comodino prendevano la polvere, misi seriamente a rischio la promozione per le troppe assenze. Accampavo scuse di malanni e dolori e restavo rinchiusa in camera. Tentai di mettermi a dieta più volte, fallendo e prendendo ancora più chili.
Negli ultimi due anni avevo maturato la convinzione che, in futuro, sarei dovuta diventare un'insegnante di italiano. La insegnante delle medie aveva sempre avuto ragione. Ero tagliata per quella scuola e mi avrebbe dato l'istruzione che mi serviva. Possibile che al classico non mi fossi impegnata abbastanza? Ero parte di una delle migliori scuole e ho mandato al diavolo quella possibilità che mi è stata offerta non una ma ben due volte! E continuavo a pensare a L., il ragazzo che mi piaceva: di me lui aveva solo visto la parte peggiore, possibile che non ci fosse stato modo di offrire di me una versione migliore? Non sono mai stata una bella ragazza, con l'apparecchio e con diversi kg in più non lo ero affatto. Se avessi tolto prima l'apparecchio e mi fossi messa a dieta, sarebbe servito a qualcosa? O forse prima si interessava a me, poi mi ha vista come una debole sempre in cerca di aiuto e ha perso interesse? E' colpa mia? E, di nuovo, possibile che non mi sia impegnata abbastanza? Se alle elementari avessi trovato una classe migliore, che persona sarei ora? Migliore? O uguale, perché ero io ad essere difettata?
A scuola ci andavo in treno fino all'anno scorso. Attendendo il mio guardavo sempre passare un diretto. Più volte mi sono chiesta se saltando al suo passaggio avrei fatto la cosa giusta. In definitiva, la lista delle persone cui sarei mancata era molto circoscritta. E comunque, sarebbero andati avanti senza di me. Non ero fondamentale, e non lo sono tutt'ora. Sono rimasta molte volte sul bordo del binario a pensarci, ma dopo essermi beccata un richiamo dai carabinieri di pattuglia in stazione (d'inverno alle 6 di sera non è un bel posto) non mi ci sono più avvicinata.
Mi trascinai in questo stato fino a marzo. Oltretutto quell'autunno stavo prendendo la patente. Il clima quando salivo in macchina con l'istruttore era terribile. Non parlavo mai, anche se alle prime volte lui tentava di avviare una conversazione, dopo poco si ritrovò a passare 40 minuti in silenzio, parlando solo per rimproverarmi. Il mio "non sono capace" si rifletteva anche nella mia incapacità di portare la macchina come si deve, mi sedevo al posto di guida con la convinzione che avrei fatto schifo. Quando poi fui bocciata a febbraio perché all'esame non ero riuscita a reggere lo stress e mi ero fatta prendere dal panico alle manovre sprofondai ancora di più.
Poi, un giorno di fine marzo, dopo che ero stata sveglia fino a notte fonda a piangere senza un motivo, mi sono alzata, mi sono pesata, ho registrato gli 84 kg su un quadernino e dal pranzo mi sono messa a dieta. Ho ripreso a leggere i libri, ho ripulito la mia camera per avere ordine attorno a me. Ho scoperto quanto fossero rilassanti i puzzle, ho deciso di ampliare le mie abilità in cucina e ho iniziato a cucinare dolci. La settimana successiva ho portato a casa un 9 in italiano e un 10 in inglese. Le settimane di dieta tranquilla andavano avanti senza che cedessi, piano piano mi sono risollevata. Così, di punto in bianco. Sono salita in macchina la sera stessa e ho fatto delle guide con mio padre prima di andare a scuola, cosa che avrei fatto ogni giorno da lì in avanti. Un mese dopo ho preso la patente, ha fine anno ho avuto una media del 7 e mezzo, avevo da recuperare a settembre solo matematica. Per tutta estate ho studiato, a settembre ho superato l'esame e la bilancia segnava 16 kg in meno rispetto a quando mi ero pesata la prima volta.
Sono alla... terza settimana di scuola (o è la seconda? Ho già perso il conto...), quest'hanno ho gli esami. Nonostante tutti i progressi fatti ho paura di non superare un altro anno in completa solitudine. Sono riuscita a risollevarmi da sola, e ne sono orgogliosa, ma non ho risolto i miei problemi. Ho deciso di ignorarli, come ho già fatto gli anni passati. E' solo questione di tempo prima che un nuovo accumulo di piccoli problemi e piccole sconfitte mi faccia crollare. E, sinceramente, io ne ho abbastanza di stare male.

E... niente. Questa in sostanza è la mia insignificante vita. Come annunciato, non è niente di che. Spero di non essere sembrata una lagnona. Non so se qualcuno si sia letto tutto, se l'ha fatto ed è arrivato fin qui: complimenti! Non so neanche se c'è qualcosa da dire, se non altro mi ha fatto bene fare un piccolo recap della mia vita.
Ancora grazie se qualcuno ha letto, e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.
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FitzChevalier
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Messaggioda Richetto » 03/10/2014, 15:05



FitzChevalier ha scritto:e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.

Sarai glassata...
:lol:
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Messaggioda Bonifacio » 03/10/2014, 15:06



Richetto ha scritto:
FitzChevalier ha scritto:e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.

Sarai glassata...
:lol:

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Messaggioda FitzChevalier » 03/10/2014, 15:26



Bonifacio ha scritto:
Richetto ha scritto:
FitzChevalier ha scritto:e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.

Sarai glassata...
:lol:

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Non l'ho capita :???:
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Messaggioda Richetto » 03/10/2014, 15:29



FitzChevalier ha scritto:
Bonifacio ha scritto:
Richetto ha scritto:
FitzChevalier ha scritto:e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.

Sarai glassata...
:lol:

:mmm2:


Non l'ho capita :???:

Era una battuta, Fitz :hug: ... come provvedimento punitivo, sarai ricoperta di glassa...
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Messaggioda FitzChevalier » 03/10/2014, 15:31



Richetto ha scritto:
FitzChevalier ha scritto:
Bonifacio ha scritto:
Richetto ha scritto:
FitzChevalier ha scritto:e se in qualche modo ho scritto qualcosa che non va bene, accetterò qualsiasi provvedimento.

Sarai glassata...
:lol:

:mmm2:


Non l'ho capita :???:

Era una battuta, Fitz :hug: ... come provvedimento punitivo, sarai ricoperta di glassa...


Che fosse una battuta l'avevo capito, non ero riuscita a coglierne il senso D: e comunque è possibile anche essere glassati a morte D:
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FitzChevalier
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