Penso che l'idea di sentirsi abbandonati sia da collegare a una percezione di non appartenenza: fuori dai gruppi di riferimento, esclusi, isolati dai membri di tali gruppi. Tuttavia è assai probabile che questa percezione di non appartenenza sia una conseguenza della difficoltà personale di interazione.
Faccio qualche altra considerazione che non è diretta a nessuno di voi partecipanti a questa discussione. La si prenda come un meditare sul tema. Cosa succede alla persona timida (o sociofobica ecc) quando deve interagire? È in balia di pensieri negativi ("cosa dico?", "dovrei fare o dire qualcosa (magari di importante o significativo", " e se faccio una caz*ata?", "se agisco (o parlo) potrebbero pensare che non sono ok", "magari se ne escono con la solita frase tipo - dì qualcosa - o - parla più forte - o - sei un po' timido/a eh?", e così via).
L'inibizione ansiogena entra in scena, lei si che è una protagonista! E si fa (o si pensa di fare) la figura del/la sfigato/a.
Meglio evitare queste umiliazioni, questa sofferenza, meglio starsene a casa.
Così si evita una sofferenza, per poi vivere un'altra, chiusi tra le mura: sentirsi soli e abbandonati.
Qualcuno/a potrebbe dire: "ma gli altri non mi aiutano, non si mostrano disponibili, preferiscono distanziarsi". Ma tu cosa fai per aiutarli ad aiutarti?
Tutte le persone, compreso quelle "normali", fanno di tutto per evitare una sofferenza, e anche nel rischiare di farsi trascinare nella sofferenza: è uno di quei meccanismi che generano esclusione, meccanismi psicologici di difesa. Talvolta sono anche meccanismi psicologici difensivi di massa o di gruppo.
Spesso, l'ansioso sociale non è capito. Chi non vive una determinata condizione, non conosce certi fiumi di pensieri, le tante sfumature di paura che ne derivano, e quindi non capisce i comportamenti che ne scaturiscono: l'ansia sociale la conosce l'ansioso sociale.
